JUDAICA Filosofia della Torah a viva voce

sapienza alineataGiuseppe Veltri / SAPIENZA ALIENATA. LA FILOSOFIA EBRAICA TRA MITO, STORIA E SCETTICISMO / Aracne

Indecisione, senso di vuoto, confusione. Lo conosciamo tutti, l’attimo di stordimento prima di affrontare un esame, o di iniziare una lezione, quando ci sembra di non sapere più nulla, di avere dimenticato di colpo ciò che avevamo imparato con tanta fatica. Date, nomi e luoghi ci vorticano nella testa come una galassia di pianeti inarrestabili. Appena cominciamo a parlare, la situazione di solito migliora. Prendiamo confidenza, troviamo il nostro ritmo, il discorso fluisce, il mondo torna all’ordine. Da giovani pensiamo che a renderci insicuri, nell’imminenza di una prova, sia la paura di fronte al docente. Chi, in età matura, si trova a insegnare e a parlare in pubblico, sa che quel momento di tensione, simile all’esitazione di un ginnasta che stia per librarsi nel vuoto, è un mistero più profondo e universale della semplice fifa scolastica. Il passaggio dal discorso interiore a quello esteriore è un momento delicato e carico di attese. L’acqua della conoscenza fa fatica a sgorgare dall’anima. Potremmo chiamarla l’emozione dell’oralità. Un’emozione che ogni volta si ricrea, così come ogni discorso, veramente pronunciato, davanti a uditori in carne ed ossa, è diverso da tutte le conversazioni che l’hanno preceduto e da quelle che lo seguiranno. Oralità e carica intellettuale, insegnamento a viva voce e sapienza – di questo binomio si nutre la tradizione ebraica. Benché la trasmissione scritta della Torah sia importantissima, quello che fa di Israele una comunità vitale è, nella visione rabbinica, il possesso della tradizione orale. Trasmessa di bocca in bocca, insegnata viso a viso, da maestro ad allievo, guardandosi negli occhi e ascoltando una voce vera, che risuona in uno spazio fisico reale, questa Torah pronunciata dà movimento e autenticità alle frasi vergate con l’inchiostro, o comunque fissate con l’alfabeto. Giuseppe Veltri, nel suo ultimo volume sul rapporto tra sapere filosofico ebraico e cultura greco-latina, riflette sulla vicinanza tra una simile idea di attivazione verbale dell’insegnamento religioso e l’antagonismo platonico tra scrittura e vera sapienza. Nel Fedro, a proposito dell’invenzione della scrittura da parte del dio egizio Teuth, Platone mostra tutto il proprio scetticismo: «Lo scrivere ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà. Costoro cesseranno di esercitarsi la memoria perché, fidandosi dello scritto, richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei». La sapienza, insomma, non la si scrive, e non c’è alfabeto o geroglifico che possa contenerla. Le lettere sono uno stratagemma che ci aiuta a fissare le nozioni. Solo il discorso che sgorga “dall’interno” può imprimere alle parole il sigillo dell’autenticità. Chi ha letto e ora sa, dica e insegni. E si faccia passare la paura.

Giulio Busi, Il Sole 24 Ore Domenica, 7 gennaio 2018