Il caso Celine

Tobia ZeviSi accende nuovamente il dibattito francese: la prestigiosa casa editrice Gallimard prima decide di pubblicare i tre scritti antisemiti di Louis-Ferdinand Céline, poi, di fronte alle proteste, fa retromarcia e dichiara che non sussistono le condizioni “metodologiche e memoriali” per proseguire nell’impresa, nonostante la volontà della vedova e la corposa introduzione critica. Ci risiamo, verrebbe da dire, nel senso che simili discussioni si ripropongono periodicamente a proposito del “Mein Kampf” e di altri testi tragici della storia umana.
Nel 2011, Céline fu inserito nell’elenco delle commemorazioni statali, e ne fu espulso per via delle proteste della comunità ebraica francese. Nelle librerie italiane, in questo momento, giace il fumetto “Il piccolo Fuehrer”, che ironizza sulla figura di Adolf Hitler incrociandola con quella del ben noto principe. Serve una bussola per orientarsi, per evitare di scadere nella censura, o nell’allarmismo, o d’altro canto per impedire che attraverso piccole operazioni editoriali si tenti di riscrivere la storia, minimizzandone colpe e delitti atroci.
A mio giudizio tre sono i parametri: serietà, onestà, interesse culturale. Prendiamo il caso del “Mein Kampf”: non c’è dubbio, credo, che il libro fondativo del nazismo sia storicamente interessante; ma è anche la base del più orrendo crimine contro l’umanità mai compiuto nella storia, e dunque se deve essere riletto va studiato in questa prospettiva. Bene, quindi, l’edizione tedesca, che dalle poche decine di pagine hitleriane tira fuori un volume di 2000 pagine e 3600 note al testo, e che serve a prevenire edizioni incontrollate all’indomani della scadenza dei diritti. Male, invece, l’ipotesi di pubblicazione “cotta e mangiata” proposta da “Il Giornale” nel 2016 (come fosse un inserto qualunque, a proposito di onestà intellettuale), come pure le versioni turche, iraniane, brasiliane proliferate negli ultimi anni a uso non degli studiosi ma degli ammiratori.
Tornando a Céline, che senso ha negare che sia un grande scrittore, forse uno dei più importanti del Novecento? Si vuole forse censurare un romanzo straordinario come “Viaggio al termine della notte”? Eppure, perché pubblicare i suoi deliri antisemiti, oltretutto con il titolo assai equivoco di “Scritti polemici”? Anche se affrontati con il massimo rigore filologico, non mi pare che soddisfino il criterio dell’interesse culturale, dal momento che furono ignorati dal pubblico e marginalizzati dalla critica insieme al loro autore. Dunque, meglio lasciarli in quello che Ronald Lauder, parlando ancora del “Mein Kampf”, definì il “gabinetto della storia”.
I tempi che viviamo sono sufficientemente bui per riempirli anche di libri terribili, se non proprio necessari.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas Twitter: @tobiazevi