LETTERATURA Primo Levi fra scrittura e narrazione
AA.VV. / PRIMO LEVI / marcos y marcos
[La mia esperienza del Lager] è qualcosa di lontano nel tempo e non mi ferisce più. Non la sogno più, per esempio; la sognavo sovente, e ora non la sogno più da molti anni. Però in primo luogo la percepisco ancora come l’avvenimento fondamentale della mia esistenza, dalla quale non si può prescindere, senza la quale sarei diverso; per un altro verso, l’averne scritto è stato per me un’altra avventura, altrettanto grossa, altrettanto ingombrante e stranamente le due esperienze si compensano e si mescolano: il fatto negativo del Lager e il fatto positivo di averne scritto e di essermi arricchito scrivendone, di aver fornito una documentazione, aver fatto una testimonianza. Questa esperienza è positiva e va a compensare l’altra e si è anche, in un certo modo, sostituita all’altra come una specie di memoria artificiale. Mi funge da memoria. P r o p r i o adesso sto cercando di fare un’altra cosa, cioè di rielaborare queste esperienze in senso generale, cioè di scrivere una serie di saggi – se sarà un libro ancora non lo so – su alcuni aspetti del fenomeno deportazione, che mi sembrano un po’ trascurati dalla letteratura, non solo dalla mia, da quella che ho scritto io, ma anche dagli altri. Alcuni aspetti, per esempio, la comunicazione, cioè quanta parte abbia avuto per molti, se non per tutti, il fatto della mancanza di comunicazione, quanto il difetto di comunicazione, l’interruzione, il taglio del telefono insomma, abbia pesato per accrescere la sofferenza della deportazione, fino a renderla mortale. La maggior parte dei miei colleghi ebrei sono morti per non aver potuto trasmettere notizie, erano isolati, come dei sordomuti ciechi, incapaci di sopravvivere. Oppure un altro tema che vorrei svolgere è quello del fatale costituirsi; quando vado in giro per le scuole in generale i ragazzi – me ne accorgo – hanno percepito quell’esperienza in termini manichei, cioè di bianco e di nero: quello che loro chiamano gli aguzzini da una parte e i prigionieri dall’altra. E questo modo di vedere non è corretto, non è storico; tra i due, tra gli aguzzini e i prigionieri c’era un gruppo di persone che erano a un tempo sofferenti provocatori di sofferenza, e che erano collaboratori in parte, anche costretti a collaborare, su cui il giudizio rimane sospeso. Ecco, vorrei studiare questo fenomeno, facendo finta di essere un sociologo. Ho un ricordo molto preciso del giorno in cui salii sul treno per Auschwitz, inquinato dal fatto di averlo raccontato a voce e per iscritto molte volte; c’è questo inquinamento per cui ormai tendo a credere alle cose che ho scritte – credo che siano esatte. Ma che s’interpongono fra la memoria pura, incontaminata, e lo stato attuale. Esiste questa “deposizione” per così dire, che ho fatto a suo tempo, dietro la quale è difficile andare; non credo che mi sia possibile, proprio per quanto riguarda il salire sul treno… non è vero, proprio in questo momento, mi viene in mente un episodio che non ho scritto (e che potrei anche scrivere) o comunque raccontare: io ero prigioniero a Fossoli, in mano ai fascisti, non ai tedeschi; c’erano anche i tedeschi però avevano delegato la sorveglianza a delle guardie di pubblica sicurezza immagino; uno di questi era visibilmente terrificato da quello che stava capitando in quella notte che precedeva la nostra partenza, si vedeva. Era un bell’uomo, di cui ricordo ancora la faccia, un emiliano, e il giorno dopo, quando siamo stati caricati sul treno era di guardia e ho parlato con lui, gli ho detto: “Si ricordi di quello che sta vedendo. Si ricordi che lei è complice, si comporti di conseguenza”. E lui non mi ha risposto anzi, mi ha accompagnato dicendomi: “Adesso che siamo qui l’accompagno a prendere un po’ d’acqua per il viaggio”. E mi ha accompagnato alla fontanella della stazione di Carpi. Penso che sia rimasto scosso, però poteva far qualcosa più di me, e non l’ha fatto. Ricordo che mi ha detto: “Ma cosa posso fare?” “Faccia il ladro, è molto più onesto”. Ecco questo fatto mi viene in mente in questo momento, non è che non sia mai affiorato, ma non è vero che io abbia detto tutto. Mi è capitato di correggere attraverso una successiva memoria, ciò che avevo scritto; specialmente nella vecchia versione Einaudi, che è diversa da quella De Silva, ci sono parecchie correzioni, alcune puramente grammaticali, ci sono delle aggiunte e qualche correzione anche.
L’intervista da cui è estratto questo testo,“ Storia della mia vita” è stata raccolta da Fasanotti e Dini nel 1982 ed è pubblicata integralmente su Riga.
Pagine Ebraiche, gennaio 2018