La persecuzione degli invisibili

Sara Valentina Di PalmaLo scorso giovedì si è tenuta presso lo storico caffè Valiani di Pistoia – aperto dal 1864 e presto divenuto ritrovo di artisti ed intellettuali provenienti da tutta Italia, da Verdi a Rossini, da Soffici a Marini – la presentazione di Presidenti di Adam Smulevich (Giuntina 2017), introdotto e moderato dai giornalisti Maurizio Gori e Gianluca Barni, con letture di Marco Leporatti. Si tratta del primo di un ciclo di incontri sull’identità ebraica attraverso la Shoah fino ai giorni nostri, cui seguiranno il 25 gennaio Genocidio e identità: appunti di sopravvivenza sui problemi legati all’assunzione della falsa identità per i bambini ebrei durante lo sterminio (tema trattato da chi scrive), il Primo febbraio la presentazione di L’arse argille consolerai. Carlo Levi dal confino alla Liberazione di Firenze del giornalista Nicola Coccia (Edizioni ETS 2015), ed infine il 15 febbraio E le ripeterai ai tuoi figli: educazione alla vita nell’Ebraismo moderato da Odelia Liberanome la quale intervisterà Antonella Castelnuovo su alcuni dei temi trattati negli atti del convegno L’ebraismo ed i grandi educatori del ‘900: le religioni come sistemi educativi (Belforte 2016).
L’incontro con Adam Smulevich ha sollevato nel pubblico una serie di quesiti, legati soprattutto alla perplessità di una persecuzione condotta anche nei confronti di quanti tra gli ebrei italiani erano da tempo assimilati o avevano un’identità ebraica diluita (come il presidente del Casale, Raffaele Jaffe assassinato a Birkenau all’arrivo), oltre ad essere talvolta persino politicamente impegnati all’interno del regime fascista come il presidente della Roma Renato Sacerdoti, il quale dal confino scrisse a Mussolini un’accorata lettera in cui faceva presente quanto aveva fatto, come patriota combattente nel Primo conflitto mondiale e come fascista, per il Paese.
Come dire che a molti italiani di oggi sembra incomprensibile sopratutto questo aspetto, dimenticando la pervasività del concetto di diversità e di inferiorità di presunto tipo razziale che nulla aveva a che fare con l’identità religiosa o la fede politica. Fintanto che viene perseguitato un gruppo minoritario in qualche modo visibilmente diverso, o che una propaganda totalitaria di stampo razzista induce a ritenere tale, ciò sembra apparire comprensibile anche agli occhi di chi lo trova ingiustificabile, mentre dubbi ed interrogativi, stando alle domande del pubblico presente, nascono di fronte alla persecuzione di chi non presenta diversità alcuna. Dimenticando forse che il paradosso del moderno antisemitismo, rispetto al tradizionale antigiudaismo cattolico, sta qui, nell’impossibilità post emancipatoria di riconoscere la minoranza ebraica ormai integrata ed in parte assimilata, e nella volontà positivista di individuare nuovi criteri per individuare, marginalizzare, perseguire l’altro tra noi.

Sara Valentina Di Palma