PROTAGONISTI Rav Toaff, l’eredità di un grande Maestro

toaff 2Elio Toaff / PERFIDI GIUDEI FRATELLI MAGGIORI / Il Mulino

Un personaggio straordinario e globale nelle sue diverse manifestazioni. Un leader e formatore, un Maestro di maestri. Ma anche un formidabile divulgatore, dal vivo e in trasmissioni radiofoniche che hanno fatto la storia. Con l’innata capacità di comunicare efficacemente sia con le grandi figure del suo tempo, e ne incontrò molte, che con le persone più umili. Per Sergio Della Pergola queste le principali qualità che si possono attribuire al rav Elio Toaff, insieme alla capacità di conciliare i dettami antichi della Tradizione con un evidente pragmatismo. È questo lo sguardo di un attento osservatore delle vicende ebraiche italiane, ma anche quello di una persona che del rav ha conosciuto molto da vicino la dimensione più intima e familiare. Non è un caso che sia proprio un’introduzione dell’illustre demografo e accademico ad aprire la riedizione del saggio Perfidi giudei, fratelli maggiori, pubblicato nel 1987 da Mondadori e oggi nuovamente in libreria grazie al Mulino. Diversi gli elementi nuovi che integrano lo scritto, presentato questo autunno nella sede del Tirreno a Livorno e quindi, alcune settimane dopo, al museo ebraico di Roma. Tra cui una lettera inedita del rav Toaff, scritta nel 1945 al fratello Renzo (che si trovava nell’allora Palestina mandataria, il futuro Stato di Israele); il discorso di commiato nel Tempio Maggiore di Roma del 2001; un ricordo dell’allievo rav Gianfranco Di Segni, oggi coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano e una testimonianza dei figli Daniel, Miriam e Ariel che ricostruisce gli anni dal 1987 al 2001. In entrambe le circostanze, a Roma e Livorno, sala piena e grande interesse per questa iniziativa editoriale che riporta al centro non solo la vocazione dialogica del rav, immortalata in particolare dalla visita di papa Wojtyla al Tempio Maggiore, ma anche la profondità del suo impegno in ogni campo e le esperienze di vita che portarono a determinate scelte. Dagli anni dell’università con la complessa sfida di laurearsi in regime di Leggi Razziste alla prima esperienza rabbinica ad Ancona, dall’attività nella Resistenza al rav toaff by giorgio albertinicontributo per far risorgere l’ebraismo italiano dalle macerie della guerra e della Shoah. Per arrivare naturalmente a Roma, al suo lunghissimo magistero in cui furono scritte pagine indimenticabili di leadership spirituale. È sotto il regime, con la progressiva intensificazione della dialettica antiebraica, fino all’estrema conseguenza delle Leggi Razziste controfirmate dal re Vittorio Emanuele III a Pisa, che prendono forma i grandi valori e principi per cui il rav (già instradato verso la carriera rabbinica dal padre, il rav Alfredo Sabato Toaff) sceglierà di battersi senza esitazione. Dalla tevah di un Tempio, dove inizierà ad esercitare poco più che ventenne, ma anche in qualità di combattente partigiano testimone tra gli altri dell’orrore di Sant’Anna di Stazzema. Racconta il rav Toaff a proposito degli anni che precedettero l’entrata in vigore delle Leggi: “L’adesione all’organizzazione sionistica fu il primo motivo di divisione tra gli ebrei. I sionisti, che erano una minoranza, erano guardati con sospetto e con timore dagli ebrei fedeli al regime o che volevano – quanto meno – farsi considerare tali. La politica di Mussolini, ambigua e oscillante tra un cauto sostegno al sionismo e una opposizione basata sulla dichiarata inammissibilità di una doppia lealtà degli ebrei all’Italia e alla Palestina, favoriva l’azione contro i sionisti che venivano presentati causa di tutti i mali e di tutte le disgrazie. Gli articoli di Farinacci, di Preziosi, di Interlandi, razzisti e ferocemente antisemiti, erano attribuiti da molti ebrei all’incoscienza di quei loro correligionari che si proclamavano sionisti, e quindi era necessario scindere le proprie responsabilità e rilasciare solenni dichiarazioni di incondizionata lealtà”. Aggiunge poi il rav: “Chi come me ha vissuto in prima persona quel periodo sente ancora tutto il disagio, lo sgomento, la vergogna, la rabbia impotente verso chi in tutta Italia dimostrò così poca dignità e scarso amore per l’ebraismo, pubblicando – malgrado quanto stava accadendo – professioni di fede fascista e di lealtà al regime. Era come sprofondare in un abisso dal quale sembrava impossibile poter risalire”. Si legge nella targa apposta la scorsa primavera in suo onore a Pisa, all’interno del campus umanistico tra i dipartimenti di Civiltà e forme del Sapere e di Filologia, Letteratura e Linguistica: “Rabbino capo di Roma. Maestro e studioso. Combattente per la libertà. Uomo di pace e di dialogo”. Un luogo non casuale perché fu proprio a Pisa, con le Leggi Razziste già in vigore, che il rav completò gli studi universitari in Giurisprudenza avviati nella medesima facoltà alcuni anni prima. “Nel 1938 – racconta – nessuno voleva assegnarmi la tesi di laurea e quindi non avrei potuto laurearmi. Allora il professor Mossa mi invitò a casa sua e mi chiese: ‘Lei ha abbastanza coraggio?’. Risposi: ‘Penso di sì’. Allora Mossa propose: ‘Guardi, potrebbe fare una tesi sul conflitto legislativo in Palestina fra la legislazione ottomana, quella inglese e quella ebraica’. Io accettai e così feci la mia tesi di laurea. Alla discussione, con Mossa, c’erano un altro professore di cui non ricordo il nome e il presidente della commissione Cesarini Sforza. Mossa mi presentò dicendo che avrei parlato di un paese che si stava avviando ad avere un destino felice e continuò su questo tono. A un certo punto, Cesarini Sforza si tolse la toga, la gettò sul tavolo e se ne andò. Io guardai stupito Mossa, non sapendo come si potesse procedere, e lui reagì a quello sguardo dicendo: ‘Vabbé, si farà in due, è lo stesso’. Così continuammo la discussione della tesi di laurea e alla fine lui mi propose: ‘Guardi, 110 non glielo posso dare. Si accontenta di 105?’. ‘Anche troppo’, replicai io. E lui: ‘allora le darò 103!’. Accettai felice”. Sono ricordi, osserva il rav, “che non si possono cancellare e che si conservano per tutta la vita, finendo per far parte della stessa personalità di un individuo”.

Il disegno è di Giorgio Albertini.

Pagine Ebraiche, gennaio 2018