Storie – Bambini in fuga
a Nonantola

MarioAvaglianoLa bella pagina di solidarietà di Nonantola, il paese in provincia di Modena che ospitò e salvò settantatré giovanissimi ebrei, tra i sei e i diciassette anni, che per sottrarsi alle persecuzioni naziste dopo aver perso i genitori nei campi di concentramento, attraverso la Germania e la Slovenia erano arrivati in Italia, è in gran parte conosciuta. Ma la giornalista e saggista Mirella Serri, con la consueta abilità nello scavare nelle vicende storiche, nel suo libro “Bambini in fuga” (Longanesi) aggiunge dei particolari inediti di particolare interesse.
Com’è noto, i ragazzi ebrei in fuga dal Reich, con “il buio dietro e il vuoto davanti”, come li definisce la Serri, a dispetto del regime fascista e delle leggi razziali furono aiutati dalla popolazione del paesino per un anno intero. Ma l’8 settembre del 1943 la situazione precipitò: Nonantola venne occupata dai nazisti e i ragazzi furono nascosti, con la speranza di farli espatriare in Svizzera. Impresa riuscita, con una sola tragica perdita di un bambino per malattia.
Mirella Serri riporta alla luce il ruolo segreto di complice dei carnefici svolto in questa vicenda dal gran Muftī di Gerusalemme, Amīn al-Ḥusaynī, esponente dell’islamismo più radicale. Da Berlino, infatti, dove si era rifugiato lavorando a fianco di Hitler e di Eichmann, al-Ḥusaynī cercò in ogni modo di bloccare l’espatrio e la salvezza degli ebrei, inclusi i ragazzi che si rifugiarono a Nonantola, arrivando perfino a costituire una divisione autonoma di SS musulmane nei Balcani per precludere l’ultima via di scampo.

Intervistata dall’Ansa, la Serri ha spiegato: “Questa è una storia bellissima, da rileggere alla luce dei fatti di oggi: ci sono tanti bambini in difficoltà che vengono nel nostro Paese, e contemporaneamente noi assistiamo impotenti alla strage che sta avvenendo in Siria. Ho voluto ricostruire questa vicenda per capire il ruolo degli italiani, e sottolineare il coraggio degli abitanti di Nonantola che, in epoca di leggi razziali, non ebbero alcuna diffidenza nei confronti di questi orfani ebrei. Tanto che un prete e un medico del paese furono i primi italiani a essere annoverati da Israele Giusti tra le nazioni”. “Ho cercato di fare un libro preciso e al tempo stesso molto raccontato, per capire anche la psicologia dei protagonisti”, prosegue, “ma ho voluto anche ricostruire il ruolo del Muftì, risalendo dalle diramazioni della storia fino all’attualità. Lui è stato il padre del radicalismo islamico: voleva impedire l’emigrazione ebraica in Palestina, e in particolar modo quella dei bambini perché sapeva che sarebbero diventati un domani i suoi nemici. Oggi dobbiamo fare i conti con il radicalismo: a volte purtroppo le minoranze possono fare la storia”.

Mario Avagliano