Da Maimonide allo Shulchàn ‘Arùkh,
i codici legali nell’ebraismo

Screen Shot 2018-02-08 at 13.28.41Si è svolta ieri pomeriggio, presso il Centro Bibliografico Tullia Zevi dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, una lezione del coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano Rav Gianfranco Di Segni dal titolo “I codici legali: il Mishnè Torà del Rambam (Maimonide) e lo Shulchàn ‘Arùkh”.
Intenzionalmente, ha spiegato il relatore, nel titolo non è indicato l’autore dello Shulchan ‘Arukh, perché in realtà gli autori sono due: Rabbi Yosef Caro e Rabbi Moshè Isserles. Il primo, nato nel 1488, fu cacciato da bambino dalla Spagna prima e dal Portogallo poi, e arrivò finalmente a Safed, in Eretz Israel, passando per la Bulgaria, la Turchia e la Grecia (tempo di migrazioni). Il secondo, chiamato anche Ramà, era nato a Cracovia, in Polonia, nel 1520. Rav Caro scrisse una importante opera di commento al Tur, il codice legale di Yaakov ben Asher (Colonia, 1269-Toledo, 1343), che intitolò Bet Yosef. Nel frattempo, anche il Ramà stava scrivendo un suo commento al Tur, a cui pose il titolo di Darkè Moshè. Quando al Ramà arrivò la copia della prima parte del Bet Yosef, appena stampata a Venezia nel 1550, fu preso da un grande sconforto, essendo stato bruciato sul tempo. Ma presto il Ramà si rese conto che nella sua opera Caro aveva privilegiato le usanze sefardite, come è naturale vista la sua provenienza geografica e culturale, a scapito delle usanze ashkenazite, che erano il punto di riferimento per il Ramà e per tutte le comunità dell’Europa centro-orientale. Decise quindi di integrare le usanze ashkenazite nello Shulchan ‘Arukh, la sintesi che Rav Caro fece del suo Bet Yosef. La rinuncia del Ramà a pubblicare una sua opera indipendente ha fatto sì che oggi, dopo più di quattro secoli, lo Shulchan ‘Arukh è tuttora l’opera più autorevole nella Halakhà per tutto il mondo ebraico, sefarditi e ashkenaziti. La lezione di umiltà di Isserles ha di fatto reso celebre sia lui stesso che Caro e ha reso unito il popolo di Israele.
shL’appuntamento di ieri era inserito nel ciclo di seminari Il popolo dei libri, curato da Raffaella Di Castro, che ha lo scopo di introdurre ai testi fondamentali della tradizione ebraica e di fornire strumenti metodologici e chiavi di orientamento in questa vasta letteratura.
I seminari sono pensati anche come forma di laboratorio sui libri presenti al Centro Bibliografico, alcuni dei quali antichi e rari, e, come anche ieri, a ogni lezione sono mostrati e spiegati alcuni volumi relativi ai temi trattati.
“Israele – viene spiegato – è chiamato Popolo del libro perché lo studio e l’interpretazione dei testi, di generazione in generazione costituisce un elemento fondamentale della vita ebraica. ‘Di libri esso si è nutrito’ (Emmanuel Levinas) quasi in senso fisico: ‘Figlio d’uomo! […] mangia questo rotolo. […] Mangiai e alla bocca sembrò dolce come il miele.’ (Ezechiele, III, 1-3)”.

(Nell’immagine Shulchan ‘Arukh, Venezia 1798, dal fondo del Centro Bibliografico, proveniente dalla collezione di Anselmo Formiggini, Padova)

(8 febbraio 2018)