Pagine Ebraiche febbraio 2018
‘Sguardo e azione per vivere meglio’

Se ci colpisce, se attira il nostro sguardo, un’opera d’arte innesca un duplice movimento. Chi la osserva entra all’interno dell’opera, mentre l’opera d’arte entra in noi che la guardiamo trasformando le nostre sensazioni e ridisegnando la nostra corporeità. Si può dire che siamo colpiti da una particolare opera perché evoca in noi stati d’animo, pensieri che ci sono consoni. Ma in che modo questo avviene? Cosa cambia nel corpo e nella percezione quando si entra in un quadro o ci si sente in relazione con una scultura? Unica allieva italiana del geniale scienziato e originale studioso israeliano del rapporto fra corpo e mente, Moshe Feldenkrais, Mara Della Pergola ha potuto frequentare ad Amherst all’inizio degli anni ’80 l’ultimo dei tre corsi che Feldenkrais tenne nel corso della sua esistenza. La sua esperienza la rende non solo uno dei più autorevoli docenti dell’insegnamento di Feldenkrais, ma anche una profonda conoscitrice della relazione che intercorre fra espressione artistica e consapevolezza psicofisica del movimento. Nel suo libro Lo sguardo in movimento – Arte, trasformazione e metodo Feldenkrais (Astrolabio editore) appena pubblicato, il lettore vede dischiudersi contemporaneamente i segreti della consapevolezza corporea rivelati da Feldenkrais e le chiavi di lettura su cosa significa davvero il rapporto con l’arte.
Cominciamo da Feldenkrais. Scienziato di valore, esperto e pioniere delle arti marziali, protagonista della nascita di Israele. Infine mito planetario per la sua capacità di connettere apprendimento, attività del sistema ner- voso e consapevolezza corporea. Le tracce della sua identità ebraica devono essere considerate solo marginali?
All’origine del metodo Feldenkrais, oggi all’attenzione di numerose scuole in tutto il mondo, oggetto di innumerevoli studi e pubblicazioni, vi sono ovviamente delle intuizioni universali sul funzionamento del sistema nervoso che solo una mente geniale poteva concepire. Ma è importante essere consapevoli che la radice del pensiero di Feldenkrais è profondamente ebraica. La sua formazione scientifica di ingegnere e fisico gli consentiva di creare collegamenti tra diverse discipline della cultura e la pratica e i principi delle arti marziali. Questa capacità di andare molto a fondo di ogni settore del sapere, ma anche di saper ricollegare in maniera trasversale le proprie conoscenze in campi disparati per comporre infine un quadro complessivo nuovo, una visione sorprendente è proprio uno dei pilastri della cultura ebraica, secondo la quale le conoscenze non costituiscono mai un accumulo isolato dal contesto generale. Feldenkrais, coerentemente con la tradizione del pensiero ebraico, era molto orientato a sollevare degli interrogativi, non a imporre delle risposte.
Chi era davvero Moshe Feldenkrais? Uno scienziato? Un guaritore? Uno stregone? Un appassionato di culture esotiche? Perché, già all’inizio del Novecento quando pochi sapevano di cosa si trattasse, si occupò di arti marziali?
Il percorso della sua vita, così complesso e contrastato, rappre- senta bene quello che è stato l’itinerario di molti ebrei nel Novecento. Lasciata la famiglia e la Russia appena adolescente, giunto nella Palestina del mandato britannico nel 1918, subito membro dell’Haganah, Feldenkrais si avvicinò allo ju jitsu concependolo come tecnica d’autodifesa. È necessario comprendere come nella Tel Aviv di allora non era certo questione di aderire a delle mode culturali come quelle che contrassegnano oggi la vita delle grandi città occidentali. Ma ovviamente, al di là dell’affascinante possibilità di studiare i meccanismi del corpo e del movimento, Feldenkrais era ben consapevole di come queste tecniche, apparentemente poco efficaci in situazioni dove possono contare molto le armi da fuoco, non servissero solo a battere l’avversario in un confronto, ma fossero anche utili per conquistare il migliore coordinamento e il migliore controllo del corpo e dello spirito.
Torniamo a Lo sguardo in movimento. Il punto di partenza è sempre il patrimonio di consapevolezza corporea che Feldenkrais ha insegnato a esplorare, allo scopo di migliorare l’immagine di se stessi e di imparare ad agire in modo più funzionale. Ma in questo caso il punto d’arrivo è il rapporto con l’opera d’arte. Era una conquista di maturità necessaria proprio ai giorni nostri, quando il consumo di massa di arte apparentemente raggiunge livelli parossistici, ma l’effetto di questa esposizione alla creazione artistica resta ancora difficile da determinare?
Mi sono chiesta perché amo tanto alcune opere d’arte, come mai mi toccano profondamente, che cosa mi succede nell’attimo in cui le guardo. Ho tentato di proporre un percorso corporeo di espressione artistica in cui l’esperienza somatica assume un ruolo di guida. Il libro offre al lettore la visita a una galleria d’arte immaginaria e straordinaria. Da Raffaello a Giacometti, da Picasso a Calder, non è più in discussione il concetto di indiscussa bellezza, ma fa da guida l’analisi dell’attrazione istintiva. È una maniera di portare la corporeità nella dimensione dei musei, nell’atmosfera rarefatta in cui normalmente le persone si accostano alla grande espressione artistica. E infine di scoprire che, come ha insegnato Feldenkrais, corpo e mente non sono separabili. I principi astratti prendono così corpo e cresce la consapevolezza.
Che cos’era per Feldenkrais il movimento?
Il movimento è la via più facile per iniziare a sentire se stessi, per l’ascolto di sé senza giudizi, per provare piacere nel sentirsi integri. Fino alle intuizioni di Feldenkrais il movimento era considerato nella dimensione della ginnastica, o della riabilitazione o della espressione creativa, come la danza. Mancava la comprensione del dato di consapevolezza della propria corporeità, di scoperta di sé. Oggi possiamo dire che molte sue intuizioni sul funzionamento del sistema nervoso e sull’importanza dell’ascolto di sé sono poi state puntualmente confermate dalle neuroscienze. Ma soprattutto possiamo comprendere perché per Feldenkrais era importante portare le persone ad agire nel modo più economico ed efficiente. Il movimento è il mezzo scelto per far riconoscere le proprie abitudini, far sperimentare nuove possibilità, apprendere, e soprattutto per rendere la mente più flessibile.
Basta un libro per entrare nella consapevolezza del movimento generato dall’arte?
Il libro propone al lettore l’osservazione di diverse opere d’arte e in parallelo alcune brevi pratiche di autoesplorazione, o minisequenze di movimento. Attraverso movimenti inusuali, eseguiti senza fretta e senza la pretesa di dover raggiungere risultati predeterminati, diviene possibile affinare le capacità percettive, ottenere una comprensione più ricca, precisa e consapevole delle opere d’arte e ricollegare il loro significato alle nostre esperienze fondamentali: l’essere radicati, centrati, tridimensionali, sapersi orientare, realizzare un’intenzione, immaginare, incontrare l’altro. L’opera d’arte diviene così veicolo di individuazione e trasformazione, guida alla scoperta di spazi interiori e apre a nuove modalità di percezione e di azione.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche febbraio 2018

(12 febbraio 2018)