Linguaggi – Un patrimonio di storie e memorie, da non disperdere

Marco Ascoli Marchetti / YIDDISH ANCONETANO / Affinità elettive

Parole, aneddoti e personaggi della Comunità ebraica di Ancona. A passarli in rassegna è il volume Yiddish anconetano, di Marco Ascoli Marchetti. Un libro gustoso ed efficace nel perseguire l’obiettivo che si pone, con una significativa autoironia che permette di scherzare, con leggerezza, davvero su tutto. Racconta l’autore, che è stato Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane dal 2012 al 2016: “Non mi sarebbe mai venuto in mente di scrivere queste cose, se un giorno di molti anni fa non mi avesse telefonato la signora Maria Mayer Modena di Milano: mi chiedeva di segnalarle quello che sapevo riguardo parole, detti, curiosità, fatti e aneddoti del mondo ebraico‐ anconetano; stava infatti conducendo una ricerca su questi argomenti per poi pubblicare una sorta di raccolta dei linguaggi giudaico‐locali delle comunità ebraiche italiane. Credo che questo lavoro non vide poi mai la luce, però mi spinse a scavare nella memoria, per ritrovare quel che sapevo del nostro dialetto e delle curiosità collegate”. Confermandole la buona volontà di collaborare, aggiunge Marchetti, “mi chiesi e le chiesi come mai avesse pensato proprio a me, tanto più che non ci conoscevamo; la risposta fu che il mio nome le era stato segnalato da Nello Ascoli, figlio del vecchio hazan di Ancona negli anni ’50: Giuseppe Ascoli”. La maggior parte di quanto scritto nel libro proviene dagli archivi di famiglia: le frasi, le parole, gli aneddoti riportati ‐ spiega l’autore ‐ “li ho proprio sentiti usare in casa fin da piccolo nei ‘discorsi dei grandi’. E le usa tuttora, sebbene sempre meno, “perché tutto e tutti cambiano, il tempo passa e queste cose sono invece un po’ datate, legate al loro tempo e alle persone di allora”. Allora è il lasso di tempo che va dalla metà dell’800 fino più o meno alla metà del ’900. Qualcosa resta ancora vivo nel linguaggio corrente, anche fuori dell’ambiente ebraico, ma il resto rischia inevitabilmente di perdersi. “Ecco allora perché ho cercato di sistemare al meglio le note raccolte per la signora Modena, proprio al fine di non disperdere definitivamente la memoria del nostro vecchio yiddish anconetano.” Parole quasi del tutto scomparse dall’uso corrente. Quando c’erano ancora i “vecchi”, cioè fino agli inizi degli anni ’60 ‐ scrive Ascoli Marchetti ‐ erano ancora diffusi; ma poi, finiti i residui della guerra e del dopoguerra, anche queste parole sono uscite di scena. “In realtà ‐ precisa l’autore ‐ erano già fin da allora dei ‘fossili viventi’: erano infatti un cripto‐linguaggio usato in tempi andati, quando ancora Ancona era sotto lo Stato Pontificio prima, e durante il ventennio fascista poi, e quindi gli ebrei dovevano starsene buoni e tranquilli, un po’ sulla difensiva: quando insomma bisognava esprimersi senza far sapere o far capire troppo”. È un viaggio che inizia da lontano, anche se non proprio da lontanissimo. Pur se vi sono notizie sicure sulla presenza degli ebrei ad Ancona già dal X secolo, lo sviluppo e l’importanza della comunità vedono il loro massimo nella seconda metà dell’800; quella di Ancona, spiega l’autore, era allora la seconda comunità per importanza nello Stato Pontificio. Subito dopo Roma Vi sono altresì indicazioni che fanno supporre la presenza di ebrei ad Ancona già dal primo secolo dell’e.v.: le correnti religiose ebraiche, infatti, non sono solamente quelle più conosciute a seguito della Diaspora successiva alla distruzione del Tempio di Gerusalemme a opera dei Romani di Tito. Scrive Ascoli Marchetti: “Poiché la Palestina era a quei tempi una provincia romana gli ebrei erano già arrivati in Italia prima della Diaspora e si erano appunto insediati a Roma e ad Ancona”. Tra l’Ottocento e il Novecento si assiste a un significativo crollo numerico della Comunità, e di conseguenza alla perdita di importanza nella società. Fino a quel tempo il gruppo ebraico anconetano era protagonista della scena economica cittadina. E specie, scrive l’autore, “nel commercio, nelle banche, nelle assicurazioni e nella navigazione”. Le libere professioni (medici, avvocati, ingegneri, ecc.) si svilupperanno invece solo in seguito. A riprova di quanto la Comunità fosse integrata nel tessuto cittadino, Ascoli Marchetti porta l’esempio di un aneddoto risalente alla prima metà del diciannovesimo secolo. E si riferisce a quando i francesi al seguito di Napoleone requisirono tutte le campane in bronzo dalle chiese per fonderle e farne cannoni. Ebbene, cosa accadde? “Gli ebrei di Ancona si tassarono affinché i francesi risparmiassero quelle del duomo, e Ancona potesse così mantenere le campane della sua cattedrale”. Ed ecco quindi, nel testo, una carrellata di “parole e fatti”. Le frasi del gergo ebraico anconetano sono appunto riportate “in anconetano”, proprio per sottolineare quanto esse fossero proprie di una popolazione, parte vera del tessuto cittadino. “Sarebbe un peccato se questo seppur piccolo tassello sulle caratteristiche della gente d’Ancona andasse disperso: ecco il perché ‐ dice Ascoli Marchetti di questo modesto lavoro”.

Italia Ebraica, febbraio 2018