onestà…
Tra i vari elementi prescritti dalla Torah per il Mishkan, il Tabernacolo, e che in seguito saranno nel Santuario di Gerusalemme, si trovava il Shulchan ossia il Tavolo sul quale erano disposti, divisi in due gruppi, dodici forme di pane che la Torah definisce con il termine di Lechem Ha-Panim, generalmente tradotto come “Pane della presentazione”. Questi pani rimanevano nel luogo sacro per sette giorni, da uno shabbat a quello successivo e, secondo una possibile spiegazione, dovevano ricordare come tutto il cibo di cui l’uomo si nutre debba essere considerato come dono che ci giunge da parte del Signore. La preparazione di questo pane richiedeva una speciale perizia, particolarmente per evitare che venisse a presentare della muffa durante i giorni in cui rimaneva nel Santurio; nel Talmud (Talmud B. Yoma 38a) si racconta che la realizzazione di questo pane era affidata ad una famiglia – “Bet Garmu”, che conservava gelosamente alcuni particolari del metodo seguito nell’impasto e nella cottura al forno. Essendosi rifiutati di insegnare il metodo di preparazione di questo pane, i membri della famiglia Bet Garmu furono in un primo tempo esautorati dall’incarico e bollati con un giudizio negativo in quanto si ritenne che fossero mossi da interesse privati; vennero così invitati dei fornai da Alessandria d’Egitto che erano altresì rinomati per la loro perizia, tuttavia questi si dimostrarono inadeguati, in quanto non erano in grado di evitare che il pane da loro preparato venisse a muffire durante i sette giorni di esposizione nel Santuario. In tale situazione i Maestri dovettero richiamare al servizio la famiglia Bet Garmu e riconoscere loro un aumento nel compenso, a quel punto però fu chiesto per quale motivo essi si fossero sempre rifiutati di svelare le modalità di preparazione del pane per il Santuario. La risposta fu sorprendente. “Siamo consapevoli – dissero – che il santuario verrà distrutto e vogliamo assolutamente evitare che qualche persona disonesta possa un giorno utilizzare questo stesso metodo di preparazione del pane ad uso profano o addirittura come idolatria”. Per evitare che fossero essi stessi sospettati di usi indebiti del pane consacrato, tutti i membri di quella famiglia evitavano rigorosamente di mangiare pane di fior di farina e utilizzavano per il loro pasto solo pane mescolato con crusca, onde adempiere alla prescrizione della Torah “Sarete esenti da colpa di fronte a D.O e agli occhi dei figli d’Israele” (Numeri 32,22). Oltre alle specifiche implicazioni riguardanti gli oggetti più sacri, questo aneddoto ci insegna da un lato, riguardo alla cautela che occorre usare prima di sospettare della buona fede altrui e d’altra parte quale impegno si richieda, a chi svolge un compito di pubblica responsabilità, al fine di evitare qualsiasi gesto che possa far dubitare dell’onestà e della correttezza nello svolgimento del proprio dovere.
Giuseppe Momigliano, rabbino
(14 febbraio 2018)