Società – Fanatismi incombenti

«Il pericolo scaturisce anche da altri elementi. La crisi economica prima di tutti, perché esaspera i contrasti di interessi tra le varie forze sociali. La crisi politica, che porta sempre a tentazioni estremiste. La crisi culturale, che sfocia nel tentativo di recuperare certe posizioni di destra, “illiberali” in senso inglese, cioè restauratrici. Non voglio dire che l’Europa sia alla vigilia di un’involuzione, penso che siano tutti fenomeni passeggeri. Ma queste polarizzazioni, queste nostalgie negative favoriscono il fanatismo. E il fanatismo si può manifestare nella diffamazione di una razza, ebrea o araba, come in atti terroristici». Chi così si esprime non è un osservatore dell’Europa prossima alla fine del primo ventennio del Terzo millennio, ma uno storico che commentava la situazione europea all’inizio dell’ultimo ventennio del Secondo millennio. Lo storico era George L. Mosse intervistato da «La Stampa» il 16 ottobre 1982. Mosse avrebbe compiuto cento anni il prossimo 20 settembre. Era nato a Berlino ed è morto a Madison nel Wisconsin il 22 gennaio 1999. In questo libro, il lettore potrà seguire la vita, il pensiero e le opere di uno dei più originali storici della seconda metà del Novecento, studioso eminente dell’età moderna e contemporanea, specialista della storia della cultura occidentale, del nazionalsocialismo, del razzismo, dell’antisemitismo, del nazionalismo, della politica di massa, della sessualità e del fanatismo contemporaneo. Ebreo tedesco, fuggito a quindici anni dalla Germania subito dopo l’avvento di Hitler al potere, Mosse visse in Francia e in Gran Bretagna, poi si trapiantò negli Stati Uniti alla vigilia della Seconda guerra mondiale, diventando cittadino americano, e professore nell’Università di Wisconsin, dove ha avuto come collega e amico un altro grande storico del Novecento, Stanley G. Payne, tuttora operoso, col quale Mosse ebbe in comune una insaziabile curiosità, una vasta cultura e l’assiduo studio dei nazionalismi moderni, nelle loro varie manifestazioni Ma «io resto un emigrante» diceva di sé Mosse. Il “professore volante” l’avevamo affettuosamente nominato, per i suoi frequenti viaggi in ogni parte del mondo, e specialmente in Europa e in Italia, tappa del suo viaggio annuale dagli Stati Uniti a Israele, per il suo duplice insegnamento nell’università di Madison e nell’università di Gerusalemme. Mosse conosceva e amava l’Italia fin da ragazzo. Continuò a frequentarla per le sue ricerche e per le sue vacanze, fra gli anni cinquanta fino alla vigilia della sua morte. E l’Italia è stato il Paese dove la sua opera storica, grazie soprattutto all’ammirazione manifestata verso di lui da Renzo De Felice fin dagli anni Sessanta, è stata maggiormente tradotta, apprezzata e seguita, contribuendo a rinnovare la storiografia italiana come ha riccamente documentato Donatello Aramini, George L. Mosse, l7talia egli storici (Angeli, Milano 2010). Non è per caso che la prima biografia di Mosse sia il libro che il lettore sta ora leggendo, pubblicato in prima edizione nel 2007, da uno studioso italiano che fu non solo un suo precoce estimatore, quando Mosse era ancora poco conosciuto in Italia, ma divenne con gli anni un collaboratore della sua rivista «Journal of Contemporary History» e un amico personale, intrecciando nel corso di un ventennio un fitto dialogo intellettuale, in parte raccontato nel volume curato da Leonardo Benadusi e Giorgio Caravale, Sulle orme di George L. Mosse Interpretazioni e fortuna dell’opera di un grande storico (Carocci, Roma 2012). Mosse definiva la storia la sua religione. E di fronte alla storia avrebbe voluto essere come «intellettuale liberamente fluttuante», «senza vincoli di tempo e di spazio, guidato soltanto dalla sua mente analitica – una sorta di eterno viaggiatore che, sospeso al di sopra degli avvenimenti, analizza e osserva». Leggendo la citazione con la quale abbiamo iniziato possiamo immaginare che Mosse stia ora fluttuando sul mondo del nostro tempo. Probabilmente si sentirebbe animato da due sentimenti contrastanti: l’uno, il compiacimento nel constatare che gran parte delle sue riflessioni sulla politica contemporanea, formulate negli ultimi decenni prima della morte, sono tuttora valide per comprendere il mondo contemporaneo; l’altro, il turbamento nel constatare che ancora una volta stiamo camminando sull’orlo di un abisso, come avvenne per l’umanità nel periodo fra le due guerre mondiali, con la minaccia incombente di una nuova «catastrofe dell’uomo moderno», provocata dalle forze irrazionali del fanatismo nazionalista e razzista, che vanno sorgendo e accumulandosi nel mondo attuale, in ogni continente, ma specialmente in Europa, che nel secondo scorso è stata per due volta, in soli tre decenni, l’epicentro di due guerre mondiali provocate dal fanatismo nazionalista, razzista e imperialista. […] Mosse incitava ad osservare lo stato di salute generale di una società per valutare il grado di pericolosità di movimenti come i nazisti e similari gruppi neonazisti e neofascisti, che potevano sembrare, «entro certi limiti, giochi proibiti di giovani disoccupati che vanno a colpire i punti deboli di una società», mentre bisognava comunque tenerli sotto controllo.[…] Mosse avrebbe voluto che il razzismo fosse messo fuori legge, ma realisticamente riconosceva che «la legge non può proibire le attitudini intolleranti degli esseri umani», pur ritenendo che «la discriminazione razziale deve essere duramente sanzionata». L’altro antidoto contro il razzismo era, per Mosse, «la funzionalità dei sistemi democratici: fino a quando vi sarà avrà spazi assai limitati. Sono le grandi crisi sociali ed economiche a lacerare le genti».[…] Mosse non era soltanto un grande storico, un uomo di vera cultura, una mente libera, che nel corso della sua esistenza, travagliata e fortunata insieme, aveva maturato, attraverso l’esperienza e lo studio, un’approfondita e disincantata consapevolezza della condizione dell’uomo moderno. Mosse era soprattutto una straordinaria personalità di saggio: conosceva le profondità del male di cui è capace l’essere umano, anche nelle società più progredite; ma non aveva perso la fiducia nella possibilità di contrastarlo con l’esercizio della mente critica e con la conoscenza della storia come esplorazione senza pregiudizi delle esperienze umane, anche le più orrende. Perché, era solito dire, quel che l’uomo è, solo la storia può dirlo.

Questo testo è tratto dalla nuova introduzione dell’autore, Emilio Gentile, a Il fascino del persecutore. George L. Mosse e la catastrofe dell’uomo moderno, Carocci, Roma, pagg. 2249, euro 14, in libreria dal 22 febbraio.

Emilio Gentile, Il Sole 24 Ore Domenica, 18 febbraio 2018