Cronaca con domande

stefano jesurumA pochissimi giorni dalle elezioni, Sinistra per Israele di Milano organizza un dibattito dal titolo “La sinistra di fronte alla situazione mediorientale, all’antisemitismo, all’islamofobia e al razzismo”. Intervengono esponenti di Liberi e Uguali (Laura Boldrini, Luciano Belli Paci, Rahel Sereke) e del Partito Democratico (Lele Fiano, Lia Quartapelle, Nadira Hairague). Ospite il Municipio 3. La grande sala del Consiglio è affollata. Il dibattito (introdotto e moderato da chi scrive queste righe) è serio, qualificato, pacato – molti i punti in comune, abbastanza ovvio per un’area di centrosinistra largo come si usa dire, con alcune differenziazioni, talune di qualche peso (chi volesse vedere la registrazione può trovarla sulla pagina Facebook di Sinistra per Israele Gruppo di Milano). Le solite piccole sceneggiate di un micro gruppetto di propal, subito zittiti dal pubblico. Fin qui, insomma, una bella, “normale” occasione di confronto su temi internazionali e anche molto “nazionali”.
Si inizia con una (mia) autocritica: «Nel titolo il termine islamofobia accostato ad antisemitismo e razzismo è, appunto, sbagliato. Lo è dal punto di vista filologico perché allora avremmo dovuto parlare di giudeofobia, e lo è perché atti più o meno violenti contro musulmani non mi risulta si siano verificati mentre basta guardare alla Francia e all’antisemitismo di matrice islamica per vedere un diverso, orrendo scenario. Ciò non significa che pericolosi germi di islamofobia non siano presenti tra noi: la guerra cieca e indiscriminata del centrodestra alle moschee, il tentativo leghista indecente di accogliere unicamente migranti cristiani, la proposta di Regione Lombardia, fortunatamente bocciata, di proibire la macellazione hallal (anche kosher di conseguenza, però era palesemente fatta per “loro”)».
Bene, analizziamo il pubblico – direi ebraico al 30% al massimo –, una bella cosa: difendere le ragioni di un Israele democratico etc etc è da moltissimi anni il nostro impegno. In sala donne e uomini maturi, un bel gruppetto di giovani, un auditorio attento, partecipe, che ha voglia di cogliere dal confronto un punto di sintesi personale, insomma di capire di più. Un pubblico che evidentemente tiene al pluralismo dal momento che sul palco ci sono competitor elettorali in questa Italia oggi così urlante, violenta e vuota. Un bel successo.
Però c’è un però (come sempre del resto). È mai possibile che della Comunità ci fossero le “solite” facce? Davvero a nessun altro, a cinque giorni dal recarsi alle urne, interessa sentire che cosa hanno in mente su questioni che ci riguardano così da vicino candidati al Parlamento e alla Regione? La preclusione nei confronti della parola sinistra è stata introiettata così profondamente? Un tempo le Comunità votavano praticamente in blocco repubblicano, socialista, comunista. Sì, lo so, lo so, altre ere storiche, contesti differenti (?).
Stiamo perdendo qualcosa di importante, qualcosa che nella nostra identità è essenziale: il gusto per il confronto e per lo scambio di vedute. D’altronde se è vero che a Roma e a Milano, le due Comunità più importanti, ci sono non pochi ebrei che tifano e fanno campagna per Salvini e Meloni di che cosa stupirsi?
Invece io mi stupisco, e molto. Di più: sono triste, mi indigno, sono preoccupato. Lo ammetto: non capisco. Ma forse sono soltanto figlio di una identità famigliare e politica che sta scomparendo. Ma che per fortuna – guardando a quel gruppetto di giovani – forse siamo riusciti a tramandare.

Stefano Jesurum, giornalista