Pagine Ebraiche Marzo 2018
L’Orso della Berlinale non fa sconti

Un vulcano capace di far sfilare sotto gli occhi del partecipante 400 film, uno spettro senza pari del cinema creativo e coraggioso, ma tenendo da conto anche i grandi momenti di spettacolo, il punto di incontro e il passaggio inevitabile della cinematografia europea, in particolare di quella centroeuropea. Nell’ultimo anno di conduzione di Tom Tykwer, la Berlinale 2018 ha mostrato le unghie e ha sfoderato un potenziale che nelle ultime edizioni era apparso lievemente sbiadito. E se la politica del momento ha finito per prendere il sopravvento sul finale, quando è venuto il giorno di assegnare i premi, e si è voluto a tutti i costi rimarcare che questo è l’anno del “metoo” anche a scapito di una scrupolosa considerazione artistica sui film finiti sotto i riflettori, il festival della capitale tedesca ha svolto ancora una volta egregiamente in ogni caso il proprio ruolo di calderone del cinema vivo. Non sono i mancati i grandi temi del confronto con la Memoria e con la Storia. Era presente un cinema israeliano ben vivo e stimolante, forse più riflessivo e forse non più all’altezza delle indimenticabili impennate degli scorsi anni. Il grande spettacolo della ricostruzione meticolosa e in definitiva rigorosa della liberazione degli ostaggi di Entebbe porterà nelle prossime settimane nelle sale di tutto il mondo non solo il racconto appassionato di un atto glorioso e del coraggio di Israele di opporsi alla violenza e alla follia antisemita, ma anche una chiave di lettura di questi ultimi anni della politica israeliana, con Rabin e Peres in primo piano e Netanyahu nell’ombra, ma molto percepibile attraverso la figura del fratello Yoni, unica vittima fra gli eroici uomini del commando che liberò gli ostaggi in Uganda. Ma forse quello che più conta è la forte sensibilità che molti autori presenti alla Berlinale continuano a dimostrare per la materia viva del dibattito politico e i problemi che sono sotto i nostri occhi: lo sconvolgimento dei flussi migratori e l’avanzata inquietante di movimenti reazionari e populisti che inquinano l’Europa e avvelenano in particolare le fragili democrazie dell’Europa orientale. L’orso di Berlino da questo punto di vista non ha fatto sconti, mostrando inquietudine e denunciando a più riprese il pericolo dell’odio e lo sfacelo della caduta degli ideali. Ma soprattutto mettendo in luce i pericoli delle nuove politiche negazionisti e velatamente antisemite che, da Varsavia, a Budapest a Praga, vorrebbero lasciare nell’ombra il dovere della Memoria.

g.v.