Machshevet Israel – Giacometta, un ricordo in danza

Cosimo Nicolini CoenGiacometta (z’l) è stata sino all’ultimo accompagnata dalla grande cerchia degli amici, mi dice, qualche giorno dopo la morte di Giacometta Limentani, Barbara Fabjan, che di quella cerchia faceva parte. Proprio grazie a Barbara ho avuto la fortuna di poter conoscere Giacometta. Fui ospite da lei soltanto due volte, sufficienti a imprimere ricordi e sensazioni che, almeno in parte, mi pare giusto, e utile, condividere qui. Nell’occasione in cui andai, con Barbara, a conoscerla, Giacometta ci offri del the (o era una tisana?) e conversammo per lungo tempo seduti attorno al tavolo in cucina. Parlammo di vari argomenti, da quelli più ‘astratti’, in vario modo inerenti al pensiero ebraico, a quelli più concreti e leggeri, come qualche impressione sulle reciproche comunità, non senza scambiarci alcune opinioni sull’attualità israeliana Poi, certo, alcuni cenni ai suoi ricordi più difficili. Non mi congedò senza mostrarmi, con letizia, alcuni dei lavori di chi fu il suo compagno di vita e marito. Data la disponibilità a raccontarsi, ad esporsi, potevo, per così dire, ricambiare in piccola parte accennando a qualche storia, analoga per le contingenze storiche, di una parte della mia famiglia. Credo che apprezzò perché poi, quando ci risentimmo qualche giorno dopo questo primo incontro, via telefono, non ritornò sui temi, appunto, astratti, che si erano toccati (né a quelli di attualità) quanto, piuttosto, a quelle memorie accennate – non per curiosità, ma perché subito ne aveva colta l’importanza nel mio vissuto personale. Ritornai, appena qualche mese dopo, in occasione di una sua lezione. Sulle pareti del salottino-studio comparivano foglietti esplicativi – ad esempio vi era un foglietto per ognuno dei quattro significati dell’acronimo Pardes. Introduceva al pensiero di Nachman di Breslav – non a caso dato che, come noto, se ne era a lungo occupata. La lezione fu coinvolgente, oltre che interessante. Mi colpirono due cose. La prima, appunto, i bigliettini, i fogli attaccati, in cui, nella mia impressione, si sentiva qualcosa dell’estro, della creatività. La seconda fu il suo richiamo al significato della danza in alcune correnti hassidiche. Non ricordo bene come, quando passò a fare questo riferimento non era più dietro la scrivania ma di fronte al piccolo pubblico, quasi pronta a iniziare lei stessa, quella danza – infatti disse: “Io non avrei nulla contro l’idea di danzare a ogni sessione di studio”, o qualcosa del genere. Fece allora un cenno ai seguaci di Breslav, a come nelle strade di Israele si trovi, di nuovo, quell’energia. Quando ricevetti l’email di Barbara stavo rivedendo dei passaggi di Nietzsche per un articolo. Quel Nietzsche così polemico contro la “morale degli schiavi”, per lui espressa nel giogo della legge immesso nella storia e nel pensiero da quel popolo che, appunto, fu schiavo in terra d’Egitto. E forse Nietzsche nell’individuare nell’eredità ebraica una tensione antitetica al conatus vivendi coglieva, con giudizi valoriali opposti a quelli che potremmo darne noi, qualcosa di vero. Tuttavia era anch’egli succube di quella fuorviante traduzione di Torah con Nomos, quindi con Legge. Mi pare che Giacometta, nella sua personale introiezione di quell’impulso alla vita, sempre sottointesa alla Tradizione e riportata in luce o rinvigorita dalle eterogenee correnti della hassidut, ci richiami alla traduzione di Torah con Insegnamento, dove anche la più fredda delle norme è fatta affinché si viva in essa (come detto in Ezra), con gioia. Gaia Torà, verrebbe da dire, volutamente distorcendo Nietzsche.

Cosimo Nicolini Coen