“Rav Sacks, pensiero profondo”

Screen Shot 2018-03-09 at 11.29.23Uno psichiatra, una filosofa e un rabbino: tre le voci per presentare al pubblico torinese l’opera più recente di Rav Jonathan Sacks: “Non nel nome di Dio. Confrontarsi con la violenza religiosa”, pubblicato in Italia da Giuntina. La serata, organizzata dalla Comunità ebraica di Torino assieme al Gruppo di Studi Ebraici con l’adesione del Centro Culturale Protestante e del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, ha visto alternarsi al tavolo dei relatori lo psichiatra e membro del Gruppo Italiano di Ricerca sullo Studio del Terrorismo (GRIST), Carmelo Munizza, l’ex docente di filosofia, Elisabetta Triola Di Porto e il rabbino capo rav Ariel Di Porto.
“Questo libro rappresenta un appello alle tre religioni perché combattono il fondamentalismo” ha commentato in apertura il presidente della Comunità Dario Disegni. “Un libro caratterizzato da un approccio multidisciplinare all’analisi delle radici di questa violenza religiosa psicologica e filosofica”.
Carmelo Munizza inizia il suo intervento proprio a partire dal ruolo che riveste nel gruppo GRIST: “Obiettivo del gruppo di ricerca, spiega, è capire il fenomeno al di là della pubblicistica e della strumentalizzazione del terrorismo e della sua violenza in nome della religione e studiare le conseguenze mentali delle catastrofi. Alla base del suo ragionamento vi è la concezione di violenza delle religioni secondo Rav Sacks, intesa come rivalità fraterna.
Molti gli interrogativi che hanno mosso sia l’autore sia colui che si approccia alla lettura del libro: come mai sono chiamate in causa le tre religioni monoteiste? È la religione che produce violenza o è qualcos’altro? Quali sono le altre variabili in gioco? Due i concetti fondanti della riflessione di rav Sacks: la malvagità altruistica e il dualismo patologico. Alla base di tali concetti vi sono le dinamiche di interazione sociale e i meccanismo interni ed esterni ai gruppi, secondo una dinamica dicotomica “noi – loro”, spiega Munizza: “Le radici della violenza sono nell’essere umano nel momento in cui diventa essere sociale, cioè quando si struttura in gruppi”, ed è in questo contesto che la religione viene intesa come “la più potente forma di coesione”. “Derubricare il fenomeno della violenza come follia fa comodo a tutti, ma la violenza non è qualcosa al di fuori di noi, qualcosa che basta stigmatizzare”, afferma.
La parola passa poi ad Elisabetta Triola, che lega al concetto sociale di gruppo, quello di identità: “La nascita della violenza chiama in causa il tema della costruzione dell’identità in particolare delle identità individuali più che collettive. La violenza quindi si genera a partire dal confronto tra gruppi, che vedono nell’altro il nemico: il bene e il male insiti nell’individuo, vengono così traslati verso l’esterno, verso il gruppo altro; alla base di questo meccanismo di traslazione vi è la mancanza di fiducia reciproca, da qui il riferimento al “Dilemma del prigioniero”, dove l’elemento di collaborazione si fa più che mai determinante. E alla domanda se la religione sia fonte di violenza, sostiene che le persone commettano violenze per motivi diversi, tangenti alla religione.
“I gruppi”, afferma, “entrano in conflitto quando la società (e le religioni) è strutturata da realtà monolitiche, che non permettono l’instaurarsi di una dinamica di fiducia e di collaborazione reciproca”.
“La dialettica tra religione e violenza”, conclude Triola, “deve essere superata non tanto attraverso la ridefinizione della teologia, ma nell’attuazione del concetto di convivenza”.
Rav Di Porto dà il via al suo intevento descrivendo la persona di Rav Sacks come il più famoso rappresentate del dialogo interreligioso, un importante ed originale pensatore sul tema a lui più caro: l’impatto della globalizzazione e del multiculturalismo sul mondo religioso. “Se dovessimo mettere le personalità religiose attorno a un tavolo per discutere delle tematiche contenute in questo libro”, prosegue, “rav Sacks sarebbe quella relativa al mondo ebraico”. L’intervento di rav Di Porto si concentra sulla domanda di fondo posta dal libro, cioè se la religione possa essere concepita come forma di scontro o come forma di risoluzione, per poi affermare, parafrasando rav Sacks, che se la religione non sarà parte della soluzione allora sarà parte del problema, anche alla luce della grande mancanza di fondo di cui soffrono le democrazie liberali nel fornire risposte alle tensioni sociali, alla moralità e non limitarsi a trovare soluzioni al solo concetto di libertà.
L’intervento di rav Di Porto si concentra poi sulla rilettura del libro della Genesi che viene effettuata nell’opera di Sacks, dove ad essere indagate sono le origine della violenza religiosa, che si fanno risalire al conflitto e allo scontro tra fratelli. Inoltre mette in luce la peculiarità dell’analisi effettuata da rav Sacks, un’analisi effettuata dall’interno, da un punto di vista religioso, ma intriso di un approccio multidisciplinare. Infine offre una riflessione che poggia le basi sul già citato concetto di collaborazione, in questo caso tra le tre religioni monoteiste: “Le difficoltà dell’Islam non sono né nuove né insuperabili perché hanno investito, in modi e tempi diversi, sia ebraismo e cristianesimo”.

Alice Fubini

(9 marzo 2018)