Oltremare – Buoni

fubiniCi sono manifestazioni della cultura israeliana che anche dopo dieci anni tondi tondi faccio fatica a spiegarmi e di sicuro a spiegare a chi non vive qui. Ad esempio la febbre del “tlush”, oggetto a forma di simil-assegno o simil-carta di credito ricaricabile, che ogni israeliano che si rispetti riceve sotto Pesach e sotto Rosh HaShana (feste comandate, in occasione delle quali si spendono cifre esorbitanti in cibarie e accessori per la casa, sopra a tutto per la cucina). Trattasi di banale bonus minimo annuale più che logico in un mondo del lavoro che non conosce la tredicesima, ma viene percepito come qualcosa che si colloca fra il diritto inalienabile e il simbolo di status faticosamente raggiunto. I buoni sono legati a supermercati e catene di negozi e producono l’ebbrezza del comperare senza pagare alla cassa: sogno di chiunque non abbia mai vissuto in un kibbutz.
Ma bisogna andare a una delle fiere dei tlushim prima delle feste per comprendrne appieno la portata. Tensiostrutture dentro le quali il Circo Medrano non farebbe fatica a far posto al Circo Togni e a un paio d’altri per buon peso, con dentro spazi espositivi per ogni negozio grandi tanto quanto i negozi veri in cittá se non di più, e una caffetteria contenuta ma strategica. E salvo quella, nessun’altra fonte di distrazione: l’israeliano avanza sicuro con in mano i tlushim commisurati alla sua importanza nell’azienda (e quindi nel paese), dopo un breve giro di ricognizione individua i punti di interesse, seleziona obiettivi, valuta sconti, interroga venditori. E poi agisce, trasformando in oggetti reali i pezzi di carta o di plastica che teneva in mano. L’uscita dalla tensiostruttura è un flusso ininterrotto di facce sofdisfatte che tradiscono un certo sollievo per l’esser riusciti ad uscire da quel dedalo di luci e sconti anche quest’anno. Benedetto il consumismo, tutto occidentale, che ci rende felici per così poco.

(19 marzo 2018)