Haggadot da collezione – Pesach siamo noi
In preparazione alla festa di Pesach, il direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale ha scritto un testo speciale per DafDaf, il giornale ebraico dei bambini. Il giornalista racconta come suo nipote David ogni anno arrivi al Seder, la speciale serata di Pesach in cui si ricorda l’Uscita dall’Egitto, con un’Haggadah (il testo di riferimento) nuova di zecca, costruita proprio da lui nella sua scuola ebraica di Londra. Una scuola che piace molto anche al direttore. “La Scuola primaria Beit Shvidler è una scuola ebraica ortodossa che promuove un forte attaccamento alla pratica ebraica ortodossa, ai valori della Torah, all’amore per Israele e all’eccellenza educativa. Si insegna inoltre ai bambini a essere orgogliosi e grati di poter contare sui valori britannici di democrazia, legalità, rispetto della libertà individuale e per le persone di diversa fede e credo” si legge nella presentazione dei suoi valori fondamentali.
Presto sarà Pesach e attendo visite. Mio nipote David è in arrivo per il Seder. Lui abita a Londra, con la sorella, la mamma e il papà. Ma per Pesach abbiamo un accordo di stare tutti assieme. O siamo ospiti noi a casa loro a Londra, o si va dagli altri nonni in Andalusia, a Granada, o andiamo dalle zie a Francoforte o a Berlino, o tutti insieme in Italia, a Roma, a Milano. O a Trieste, perché verso Pesach hanno tutti molta voglia di sentire il mare. Quest’anno abbiamo deciso per Trieste, e non vedo l’ora di andarlo a prendere all’aeroporto. Non è solo che gli voglio bene, che sono felice di vederlo. Questo è ovvio, visto che sono suo nonno. È anche perché ogni volta che viene Pesach lui si porta nella valigia una nuova Haggadah. Di Haggadot sono un appassionato. Ne ho tante, ma non mi accontento mai e ne cerco sempre di nuove. Ce ne sono di tanti tipi diversi, di tante edizioni diverse e trovo affascinante quando una storia, che è sempre la stessa storia, prende mille forme diverse. Così è per i libri che sono sempre lo stesso libro, ma a seconda delle edizioni diventano piccoli o enormi, colorati o in bianco e nero, illustrati, e con disegni tanto diversi fra loro. Insomma quando lui mi porta a vedere la sua nuova Haggadah sono sempre molto contento. E voglio proprio vedere cosa riuscirà a portarmi quest’anno. Di solito, durante il Seder, sto attento e cerco di sedermi vicino a lui, così quando tutti hanno altro da pensare, allungo gli occhi e posso guardarmi in pace la sua Haggadah. Non è tanto il fatto che viene da Londra che mi piace e ne fa ai miei occhi un libro speciale. Quella particolare sua Haggadah in effetti mi sembra speciale perché è unica. Unica perché se l’è costruita da solo con l’aiuto della sua maestra. Così di anno in anno, crescendo, c’è sempre un’Haggadah nuova da costruire. La storia è sempre quella, l’ordine del Seder non si può cambiare. E l’ordine è molto importante, difatti, quando stiamo per metterci a tavola e cominciamo a cantare, ci affrettiamo subito a leggere ad alta voce l’ordine in cui il Seder si deve svolgere. C’è un momento preciso per ricordare, un momento per celebrare, un momento per domandare, un momento per rispondere, un momento per mangiare, un momento per glorificare, per commuoversi e per darsi appuntamento a Gerusalemme. Gli ebrei fanno così, in tutto il mondo, quando la luna di quella notte è così piena e luminosa da illuminare ogni cosa nella notte. Ma ogni anno la storia deve essere raccontata di nuovo e nella classe dove si studia ovviamente se ne parla, ci si organizza, e si preparano cose belle da portare a casa. Ecco, così di anno in anno, fino a quando le maestre di mio nipote non si stancheranno di lavorare, io posso godermi una Haggadah nuova fiammante. Spesso ci trovo dentro dei disegni, dei collage, mille materiali appiccicati, fotografie, cartine geografiche, spiegazioni di ogni genere. Credo che per mettere assieme una Haggadah bella così ci voglia davvero molto lavoro. Quindi immagino che in quella classe saranno già al lavoro e mi pregusto la sorpresa. Nella Haggadah che avevano preparato lo scorso anno la pagina che mi era piaciuta di più era quella del Ma Nishtanà. Le quattro domande avevano ciascuna una finestrina e ogni finestrina aveva uno sportellino che portava scritta la domanda. Poi lo sportellino si poteva staccare e sotto si trovava la risposta. Poi si poteva coprire la risposta e ricominciare. Tutte le domande, anche le più difficili, hanno diverse risposte possibili. Non bisogna mai disperarsi nella ricerca, basta solo impegnarsi a trovarle e scegliere quella che va meglio per noi. Forse quello che ho trovato di più speciale in queste Haggadot tutte speciali è che quasi in ogni pagina ci ritrovo mio nipote. La maestra ha voluto mettere sue fotografie dappertutto e certe volte ha voluto mettergli addosso dei vestiti, dei costumi, degli attrezzi che lo facevano sembrare proprio uno di quelli che il Pesach l’hanno vissuto davvero nel deserto con Mosè. All’inizio mi era parsa un’idea strada, poi ho capito che veramente il significato era semplice: Pesach non è una storia degli ebrei avvenuta tanti anni fa, lontana nel tempo e che noi per una o due volte l’anno vogliamo ricordare. Pesach non si ricorda, non si commemora. Pesach si vive di persona, si rivive continuamente. Pesach, insomma, siamo noi, e accade qui, adesso. Prende corpo dovunque ci sia bisogno e speranza di libertà. E dove mai non ci sarebbe bisogno e speranza di libertà? Insomma, penso che forse sia giusto costruisca la sua Haggadah, perché questo può aiutarci a ricordare che Pesach non è una storia che sta nei libri antichi. Pesach è una pagina del libro della vita che tutti noi siamo chiamati ogni giorno a scrivere e a disegnare.
Costruire scuole
La scuola dove studia mio nipote sta in un quartiere di Londra chiamato Edgware. Qualche tempo fa sono andato a prenderlo alla fine delle lezioni e abbiamo preso assieme l’autobus (quelli rossi a due piani) per tornare a casa. Così mi sono fermato a salutare un attimo il direttore che è un rabbino e si chiama Jonny Spector. “Che belle costruzioni avete in questa scuola. Non sarà stato facile costruirle”, gli ho detto io. Il rav Spector era molto indaffarato, perché la sua scuola stava per festeggiare il suo decimo compleanno e da lì a poco avrebbe ricevuto la visita di uno dei rabbini più importanti del mondo, il rabbino capo della Gran Bretagna, del Canada e di molti altri paesi che si chiama Ephraim Mirvis. Però si è lo stesso fermato un attimo per parlare con me. “Ti voglio raccontare una cosa”, mi ha detto. “Per costruire questa scuola ci sono voluti quasi cinque milioni di sterline (quasi sei milioni di euro)”. Sono a rimasto a bocca aperta, perché sei milioni di euro per una scuola ebraica sono davvero tanti soldi. “Però – ha aggiunto – non è stato difficile trovarli. Ce li siamo fatti regalare da un benefattore che è molto felice che si costruiscano scuole ebraiche. E questo signore si chiama Eugene Shvidler. Per ringraziarlo abbiamo dato il suo nome alla scuola. Semplice, no?”. Non ho potuto dargli torto. Anche trovare i soldi che servono per realizzare i sogni può essere difficilissimo, quasi impossibile, oppure molto facile. Basta imparare a fare la domanda giusta ed essere bravi a descrivere chiaramente i propri sogni. Proprio come a Pesach.
Guido Vitale, Dafdaf, marzo 2018