…libertà
Durante la vecchiaia trascorsa in povertà in Italia, don Isaac Abravanel compose un commento alla Haggadah di Pesach, destinato a duratura fortuna e stampato a più riprese, in particolare a Venezia, nei secoli successivi. In questi anni, i primi del Cinquecento, Abravanel era reduce da un triplice esilio, dal Portogallo, dalla Castiglia e infine da Napoli. Come Abravanel, alcune centinaia di migliaia di ebrei spagnoli e portoghesi senza più terra e beni cercavano una nuova dimora su entrambe le rive del Mediterraneo e spingendosi anche più a nord.
“Che cosa abbiamo guadagnato, noi uomini dell’esilio, oggi, dal fatto che i nostri padri sono usciti dall’Egitto?”, si chiede Abravanel. “Come è detto [nell’Haggadah]: ‘Se il Santo, benedetto sia, non avesse fatto uscire i nostri padri dall’Egitto, noi e i nostri figli e i figli dei nostri figli saremmo ancora asserviti al faraone’. Forse dimoreremmo in Egitto in una più grande quiete di quella che sperimentiamo nell’esilio presso Edom [Roma e l’Europa cristiana] e Ismaele [il mondo islamico]; secondo quanto dissero i nostri padri: ‘Sarebbe stato meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto’ dei popoli, tra le distruzioni e le espulsioni, ed essere uccisi con la spada, affamati, imprigionati, e soprattutto lasciare la nostra fede per il peso dell’oppressione”.
A questa lancinante questione Abravanel cerca di dare alcune risposte, tra queste la più interessante dice: “Poiché se non fossimo usciti, non saremmo giunti al monte Sinai, e non avremmo ricevuto la Torah e i precetti, e la Presenza divina non avrebbe dimorato tra noi, e non saremmo un popolo prezioso per Dio”. È questo, secondo Yeshayahu Leibowitz (“Le feste ebraiche”, Jaca Book), l’argomento decisivo, perché “il significato principale dell’uscita dall’Egitto non consiste nella liberazione dalla schiavitù, ma nella preparazione e nell’addestramento ad accogliere il giogo della Torah e dei precetti, vera libertà dell’uomo”. Le parole di Abravanel, allora, “insegnano che il fatto di essere un popolo prezioso non è legato alla liberazione dalla schiavitù d’Egitto, ma alla nostra disposizione ad accogliere su di noi quel giogo, che ci prepara a non essere più vincolati alle leggi della nostra natura e a superare gli avvenimenti della vita. Questa è la vera libertà dell’uomo”.
Giorgio Berruto, Hatikwà