Una vecchia pellicola
Obiettivo: esercizio di sceneggiatura usando un copione già ingiallito. Premessa: facciamo di Gaza una sorta di territorio integrato e prospero (lo pensava, tra gli altri, il “buonista” Shimon Peres, con la sua visione di Mizrah haThikon haHadasha, un «nuovo Medio Oriente»). Non capita nulla di tutto ciò, “ovviamente”. Ma questo è già un altro discorso. Come lo è anche il ritiro unilaterale del 2005, quello voluto da Ariel Sharon (evidentemente “buonista” anche lui). Sequenza uno: dopo dodici anni dalla vittoria alle legislative (25 gennaio 2006) e dalla brutale cacciata dei “fratelli antagonisti” dell’Olp di Fatah (qualcuno se la ricorda?), il “movimento” è un po’ anchilosato, necessitando di oliare gli ingranaggi del consenso. In Medio Oriente non si può mai stare fermi: per mantenere le egemonie politiche in via di ossificazione bisogna sempre fare girare vorticosamente le pale della società civile, eventualmente gettandola nel carnaio. Chi non lo fa, come Israele (che le leadership le elegge attraverso le maggioranze parlamentari), è infatti una “entità” illegittima. Sequenza due: una precondizione per riprendere i «negoziati di pace» è legata alla ricomposizione dei rapporti tra Hamas e Olp-Autorità nazionale palestinese. Quale sarebbe, altrimenti, il vero interlocutore? La «comunità internazionale» sollecita la riconciliazione. Dopo mediazioni, tentativi, colloqui a distanza (di sicurezza), il premier palestinese Rami Hamdallah e il capo della “sua” security, si reca nella Striscia il 12 marzo. Non appena il suo convoglio entra nel territorio controllato da Hamas subisce un attentato, con sette feriti. Scambio di accuse velenose tra i leader dei due grandi gruppi, con l’identificazione di un terzo come responsabile, le «cellule jihadiste» che, così si dice, vogliono “sabotare il dialogo”. L’oggetto del dialogo, peraltro, non è quello della pace tra vecchi antagonisti (Israele-mondo arabo) ma dentro una componente del mondo arabo stesso (i gruppi dirigenti palestinesi). Sequenza tre: il 30 marzo è Yom al-Ard (si scrive così, si tratta del «giorno della terra»), per ricordare i morti negli scontri avvenuti in quel giorno del 1976, quando l’esproprio della «zona 9» in Cisgiordania fu la circostanza che scatenò prima tafferugli poi manifestazioni e infine violenze. È anche giorno di entrata di Pesach (la cosiddetta “Pasqua ebraica”) come «venerdì santo» per i cristiani. Hamas, che non si dimentica mai delle ricorrenze, indice allora una «marcia della terra», che: a) dovrebbe avviare un lungo periodo, della durata di circa sei settimane, di confronti con l’esercito israeliano, fino al 15 maggio, giorno in cui si ricorda la Nakba (il «disastro»), tra il 1948 e il 1967, con la nascita del fenomeno dei profughi palestinesi; b) decide di fare le iniziative di maggiore rilievo intorno alla barriera di sicurezza che divide la Striscia da Israele; c) sollecita la violazione sistematica della barriera confinaria e l’ingresso nel territorio israeliano; d) si attende la mediatizzazione di tutti gli eventi, parte integrante di qualsiasi programma politico di tale genere; e) lega l’intero arco di manifestazioni alla rivendicazione del «diritto al ritorno» (una formula magica). Scena quattro: la drammatizzazione produce i suoi effetti, con un buon numero di giovani manifestanti, perlopiù maschi tra i 18 e i 30 anni, confluenti vero la barriera e i conseguenti tentativi di violazione della medesima, in alcuni casi riusciti. Le reti televisive riprendono – ancora una volta – la contrapposizione tra i giovani militari dell’«esercito di Tel Aviv» (!?) e i manifestanti: il messaggio che viene riproposto è sempre lo stesso, ossia che uomini in divisa, superarmati, fronteggiano la popolazione civile. A scontri ultimati, almeno per la parte più intensa, si verrà a sapere che delle persone decedute, buona parte di esse erano attivisti di Hamas. Due tra essi, membri delle unità combattenti islamiste. Scena cinque: Hamas è «euforica» (Fabio Sciuto, sul Fatto quotidiano del 1° aprile). Aveva invitato l’intera popolazione alla marcia, temeva in un risultato poco o nulla premiante, ha invece raccolto – dicono le fonti giornalistiche – circa 30mila manifestanti. La qual cosa indicherebbe che Hamas ha ancora un buon seguito tra i giovani gazawi. I leader, a partire da Ismail Haniyeh, si sono fatti vedere nei luoghi caldi (in stile mordi e fuggi), accompagnati dai membri della loro personale security e da una nutrita pattuglia di fotografi destinati ad immortalare le gesta di coraggio dei medesimi. Scena sesta: la «comunità internazionale» chiede a Gerusalemme ragione di quanto è successo, incentrando la comunicazione sul fuoco della «sproporzione» tra azione (dei manifestanti) e reazione (dei militari), sull’«inaccettabilità» del numero dei morti, sulle dinamiche del confronto. Ciò deplorando, rivendica inoltre la necessità di una «inchiesta indipendente e trasparente» (Onu e Unione europea). Sconcerto collettivo, filtrato attraverso le immagini, ripetute dai media mondiali, degli scontri. Deprecazione e inviti al «dialogo» si susseguono, come di prassi. Settima scena: Hamas è soddisfatta, l’Anp un po’ meno. Abu Mazen, l’inossidabile rais, proclama una giornata di «lutto nazionale» ma con le pive nel sacco. La scena gli è stata sottratta dagli avversari gazawi. Il rappresentante dell’Autorità palestinese all’Onu chiede la convocazione del Consiglio di Sicurezza. A Gaza “promettono” il prosieguo del confronto (con chi, Israele o Ramallah?). Ottava scena: una settimana dopo, ossia venerdì scorso, si raccolgono e si ammassano intorno alla barriera di separazione pneumatici che poi vengono dati al fuoco. L’obiettivo dichiarato è quello di creare dense e acri colonne di fumo, per oscurare la visuale alle unità delle forze armate israeliane, appostate per impedire che la linea di demarcazione venga violata. Nona scena: «se Israele colpirà la Striscia nel profondo, Hamas si vendicherà colpendo in profondità il cuore degli insediamenti». Si esprime in tali termini uno dei fondatori e capi di Hamas, Mahmoud al-Zahar, incitando la folla alla sollevazione. Decima scena: Siria, Iraq, Yemen (che roba è?) eccetera…(sbadigli collettivi e dissolvenza). Domanda: per quanto tempo continueremo a rivedere questa pellicola?
Claudio Vercelli
(8 aprile 2018)