La storia e il rito

Anna SegreUn paio di salmi presi dall’Hallel come nei giorni festivi, un rituale quasi identico a quello che conclude il digiuno di Kippur, qualche verso della Torah, un altro salmo cantato con la stessa musica dell’Hatikvà seguito senza soluzione di continuità dall’Hatikvà stessa, inno laico incastrato in un contesto religioso. Seguirà, come ogni anno, la cena con cibi israeliani allietata da musiche e balli israeliani.
Ormai il rituale di Yom Ha Atzmaut pare consolidato e infatti – almeno a Torino – tende a ripetersi quasi identico di anno in anno, per quanto alcuni abbiano la sensazione che ogni anno ci sia un’aggiunta. C’è chi non è contento di questa ritualizzazione di una festa laica e lamenta come un momento di gioia collettivo derivato da un fatto storico sia stato scippato dai religiosi. Va detto, però, che probabilmente la ritualizzazione è l’unico mezzo per evitare che i festeggiamenti per il compleanno di Israele assumano connotazioni politiche troppo legate alla contingenza. La storia diventando rito si tiene lontana da eccessivi trionfalismi e strumentalizzazioni. Lo shofar e i salmi (come del resto anche i cibi e i balli) non sono di destra o di sinistra, filogovernativi o di opposizione, falchi o colombe, non difendono necessariamente Israele così com’è oggi e non propongono una visione alternativa univoca ma lasciano che ciascuno coltivi liberamente il proprio sogno sul futuro di Israele. Per questo possono essere di tutti e offrono la speranza che la festa potrà continuare ancora a lungo ad essere di tutti.

Anna Segre