Identità – Cosa ci insegna rileggere oggi Gershom Scholem

scholemGershom Scholem / DA BERLINO A GERUSALEMME / Einaudi

Quando nel 1968 Einaudi editore pubblica Il partigiano Johhny di Beppe Fenoglio, accade qualcosa di strano. Fenoglio è morto da alcuni anni, quel testo a suo modo è un inedito, e si consegna al lettore di allora come il lascito definitivo di un autore allo stesso tempo radicale nella scrittura come nei temi che propone. Quel testo tuttavia agisce su un lettore medio che appassionato della Resistenza non fa fatica a cogliere le allusioni – da Fenoglio non volute – che quel testo suscita. Nella storia del partigiano braccato, sopravvissuto, in fuga dai repubblichini che lo attorniano mentre tenta di rifugiarsi in montagna, ossessionato dalla febbre, colpito dall’asma e dalla tosse, il lettore del 1968 non fa fatica a traslare Johnny nel comandante Ernesto Guevara, così come ce lo consegnano le pagine postume del suo diario di Bolivia. È il lettore del testo che fa questa operazione. La fa perché non c’è mai un lettore che non sia condizionato dal tempo in cui legge, dalle sollecitazioni che arrivano al suo cuore e alla sua testa. Perché è importante questa premessa? Perché la lettura delle memorie di Gershom Scholem ripubblicate di recente, in una nuova versione ampliata, Da Berlino a Gerusalemme (Einaudi), l’ultimo suo libro compiuto prima di morire (21 febbraio 1982), non credo sia meno intrigante e credo susciti reazioni anche molto lontane da quelle pensate e vissute da Scholem. La ripubblicazione dell’autobiografia di Scholem consente di riflettere su molti elementi che riguardano il mondo ebraico tedesco tra inizio ‘900 e gli anni immediatamente precedenti la Shoah. Come sappiamo Scholem scrive questo testo quasi alla fine della sua vita e in un qualche modo lo si può considerare una sorta di ritratto della propria maturità, del percorso che lo porta fuori dalla Germania. È probabile che in un altro tempo sarebbe stato questo l’interesse a leggere quelle pagine. Non ne sono certo oggi. Oggi, marzo 2018, credo che il tema centrale di quelle pagine, soprattutto del primo capitolo, stia nel linguaggio che il mondo perbene ebraico della Germania guglielmina adotta in replica all’arrivo, «fastidioso» a suo avviso, del mondo ebraico Est-europeo a Berlino. Della sensazione di estraneità, repulsione, fastidio con cui il mondo ebraico tedesco, emancipato, ma non integrato, sempre percepito sull’orlo di una condizione incerta e precaria, e anche per questo radicalmente ostile a quelle figure del proprio mondo che improvvisamente arrivano e ribadiscono l’estraneità del mondo ebraico al quadro perbene della buona società. Entrato con difficoltà nella società tedesca, quel mondo guarda a quei fratelli fastidiosi che rischiano di compromettere il proprio autoritratto di mondo «perbene» (un percorso che Zygmunt Bauman ha descritto con precisione fotografica nel suo Visti di uscita e biglietti di entrata, Giuntina). Il tema è il conformismo, la ricerca di protezione nel senso comune, sempre più caricato di intolleranza, non è la conseguenza di un senso di smarrimento improvviso. Fa parte di una storia, soprattutto è parte delle scelte che gli individui fanno di fronte alle emergenze che la storia spesso propone in forma diretta. Nelle pagine di Da Berlino a Gerusalemme Scholem descrive quel processo, illustra che cosa significa confrontarsi con il «perbenismo», ma soprattutto indica che la risposta a quel perbenismo non è una scelta etica, ma l’interrogarsi su una cultura, lo scavo sulla forza morale che sta dentro le sfide che il proprio tempo propone e soprattutto nell’idea che l’identità di per sé non è una risorsa che dà risposte, ma al più obbliga a trovarle in relazione alle domande che ciascuno si fa, alle risposte che avverte come necessarie, alle risorse che va a cercare per provare a rispondere alle sfide del proprio tempo senza diventare ostaggio del proprio tempo. La storia della lettura come storia di come si legge, e di come si torna a leggere, più che di ciò che si legge.

David Bidussa, Pagine Ebraiche, aprile 2018