JCiak – Tutti in biblioteca

Si fa prima a dire cosa non è. Non un deposito di libri, luogo di sussurri e reverenza, regno di studiosi e studenti. Negli Stati Uniti la biblioteca è l’anima delle comunità. E se i tempi cambiano, tiene il passo. Ormai più che per leggere ci si va a compilare moduli, fare ripetizioni, usare i pc, seguire una lezione, incontrare spiriti affini o suonare in gruppo l’ukulele. I libri sono sullo sfondo, motori sempre più invisibili ma tanto più necessari, di cultura e aggregazione. È un stacco dalla tradizione ancora più impressionante quando, come in Ex Libris – l’ultimo lavoro del regista ebreo-americano Frederick Wiseman oggi nelle sale – l’occhio si posa sulla New York Public Library, una delle biblioteche più celebri del mondo dove Andy Warhol era di casa insieme allo scrittore E.L. Doctorow.
In Ex Libris, presentato lo scorso anno al Festival del cinema di Venezia, il maestro documentarista ormai 87enne racconta la biblioteca con il medesimo taglio usato in passato per altre istituzioni culturali e sociali: l’ospedale psichiatrico, le compagnie di balletto, il tribunale minorile, la palestra di boxe, le scuole e, pochi anni fa, la National Gallery.
Con un’abilità che ha dell’incredibile, Wiseman intreccia dettagli e scorci inconsueti in una narrazione affidata esclusivamente alle immagini e alla voce dei protagonisti. Non ci sono intervistatori, sovrascritte o interventi fuori campo. La mano inconfondibile del regista si sente solo nel montaggio, che doma e riordina con sicurezza il risultato di mesi di montaggio.
Wiseman ci conduce nel maestoso Schwarzman Building inaugurato nel 1911 e nelle sedi distaccate della biblioteca fra Manhattan, il Bronx e Staten Island senza indugiare sul frenetico tessuto cittadino, accennato solo per brevi inquadrature.
Il cuore nel racconto è fra le mura della NYPL. I numeri dell’attività sono impressionanti – 18 milioni di utenti, 32 milioni di visitatori sul sito – ma non rendono giustizia alla coralità di uno sforzo sempre in bilico tra la speranza di accompagnare il cambiamento e la paura di non farcela.
“Le biblioteche non sono fatte di libri, ma sono un luogo per le persone”, dice uno dei protagonisti. È l’idea, profondamente radicata nella mentalità americana, che ciascuno ha diritto di sapere ed essere informato. E per esercitarlo la prima risorsa sotto mano, gratuita e aperta a tutti, è la biblioteca con il suo esercito di bibliotecari: l’istituzione più democratica che ci sia, il posto dove ognuno è benvenuto.
Nell’arco di tre ore e un quarto vediamo sfilare in biblioteca gente di ogni età, colore, cultura, provenienza. Le richieste sono infinite e disparate. Sentiamo un bibliotecario spiegare a un ignaro interlocutore che l’unicorno è in realtà un animale immaginario, i più piccoli imparano a leggere, lo scrittore Ta-Nehisi Coates spiega a una platea attentissima cos’è oggi il razzismo, un gruppo di studenti fa ricerca.
Dietro le quinte, si lavora a ritmo sostenuto. Il telefono suona senza tregua, le riunioni si susseguono. Le biblioteche sono uno snodo prezioso nel sistema educativo della città, dice un addetto. Mantenere questo ruolo, soprattutto in una città cosmopolita e in costante evoluzione come New York, richiede una profonda sintonia con i tempi e la capacità di cogliere il cambiamento senza farsene travolgere.
Ancora una volta Frederick Wiseman, Leone d’oro alla carriera nel 2014, riesce ad animare il corpo di un’istituzione spesso data per scontata tessendo voci e volti in un arazzo indimenticabile. I suoi sono eroi di tutti giorni: il bibliotecario assillato dal telefono, il ragazzino che stenta a leggere, il senzatetto che passa la giornata al caldo. Eppure riescono a incantarci e tenerci avvinti fino alla fine. È la vita, è la biblioteca. E nessuno sussurra, mai.

Daniela Gross