Dimmi con chi sfili e ti dirò chi sei
“La necessità” – scrisse Hans Jonas- “non vuol vedere perpetuata la miseria per avere un suo oggetto” (Tecnica, medicina ed etica, Torino, 1997, p. 45); lo stesso ragionamento dovrebbe valere nella ricerca dei villani di ogni storia.
Come diceva Alfred Hitchcock, la riuscita della storia dipende dall’efficacia nella descrizione del villano (Hitchcock – Truffaut, UK, 2017, p. 191: “the more successful the villain, the more successful the picture”), e non è detto che questo ragionamento sia alieno alla descrizione storica sulla cui base si commemora la Liberazione, perché se manca il villano manca la storia e, se non ci fosse, andrebbe costruito.
Le celebrazioni del 25 aprile, anniversario della Liberazione, portano difilato al fantasma del fascismo, sopravvissuto come una sorta di ectoplasma autoritario, ammantato volta per volta di populismo, corporativismo, e intolleranza, suscettibile di passare disinvoltamente dalla destra (laddove rappresenterebbe gli interessi del grande capitale) alla sinistra (laddove tiene moltissimo a rivestirsi di un’etichetta “sociale”). Ma nemmeno questi rivestimenti teorici sono sufficienti, ove lo si consideri marxianamente come la sovrastruttura ideologica dei ceti medi emergenti (Renzo De Felice, Intervista sul fascismo, Bari, 1975, p. 33, curata da M. Ledeen). È quel suo essere un nulla a renderlo più pericoloso, visto che in Italia è passato, senza soluzione di continuità, dal filosemitismo (cfr. Emil Ludwig, Colloqui con Mussolini, p. 70 dell’edizione in inglese, Talks with Mussolini, Boston, 1933) alle leggi razziali.
Il fascismo è ormai un fantasma, ripiegato in uno sgabuzzino e gonfiato per gli eventi che richiedono la sua presenza. Tuttavia, con un poco d’impegno, potremmo pure trovarlo e identificarlo, rinvenendone l’essenza. Ad esempio, se il fascismo attuale fosse contrassegnato dall’assenza di democrazia e libertà, dall’ordine senza diritti oppure dalla doviziosa circolazione di idee bizzarre convogliate anche da icone nazionali garrule e ciarliere, molto attente agli italiani ma poco e nulla all’italiano, ecco che potremmo ipotizzare che anche alcuni fascisti, non necessariamente defilati, partecipino, con un entusiasmo pari alla loro inconsapevolezza, alla celebrazione della liberazione dal fascismo. Se pensate che sia un’esagerazione, rivolgete un minimo pensiero alla crescente solitudine degli ebrei in queste celebrazioni.
Se proprio volessimo trovare un responsabile, non lo troveremmo nelle pagine dei politologi, bensì nei personaggi e negli ambienti dei vari Eugène Ionesco, Jorge Luis Borges e Franz Kafka, più profeti che scrittori, un aspetto forse trascurato da Richard Posner (Law & Literature, 3°ed., HUP, Ch. 6, Two legal perspectives on Kafka, passim) un grande giurista che parrebbe condividere con Hans Kelsen un sano ma non contagioso scetticismo.
Emanuele Calò, giurista