“Il mio Gino, eroe speciale sul palco”

merge_from_ofoct (2)Gino Bartali ha letteralmente sedotto un Paese e non solo il grande popolo del ciclismo. E lo ha fatto con la forza e il carisma della genuinità. Così non sorprende che tra i suoi tifosi, oltre alla gente della strada, potesse contare anche sull’ammirazione sincera e incondizionata di star come Rita Hayworth e Maria Callas. Nemici di corsa ma amici nella vita, come il suo gregario: l’eterno rivale Fausto Coppi, il Campionissimo del quale pianse la morte precoce e assolutamente inattesa. Bartali grande amico degli italiani e quindi “storia di un italiano” vero che poteva permettersi di dare del “tu” un po’ a tutti, da De Gasperi a Totò.
Gino Bartali ha segnato indelebilmente la sua epoca, fino all’ultimo istante in cui è rimasto su questa terra. Nel ciclismo, il suo nome è ancora Leggenda. Un uomo dalle molteplici qualità ma con una sola faccia, buona per tutte le stagioni. Una riservatezza proverbiale che più volte ha usato come corazza per difendersi dagli inutili rumori di fondo della società.
Per gli ebrei perseguitati ha corso la tappa più emozionante e pericolosa della sua carriera: la Firenze-Assisi-Firenze. Generosità dell’uomo verticale che ha salvato altre vite umane dallo sterminio nazifascista, chiedendo in cambio un sorriso e il silenzio dovuto a chi era convinto che il “bene va fatto, ma non si dice”. Un’esistenza straordinaria nella sua umiltà, che merita di essere conosciuta.
In “Bartali. Il campione e l’eroe” (Modigliani produzioni), spettacolo interpretato da Ubaldo Pantani e scritto insieme a Max Castellani, Alessandro Salutini e Adam Smulevich con regia di Pablo Solari, ad essere raccontata è la storia più bella, la più sofferta, quella che gelosamente ha custodito fino all’ultimo. Insieme alla Israel Cycling Academy, a Gerusalemme, lo spettacolo chiude la prima giornata “bartaliana” della vigilia del Giro e si appresta, dal prossimo autunno, in occasione dell’80esimo anniversario dalla promulgazione delle Leggi razziste, a fare il suo ingresso in molti teatri italiani.
“Squilla il telefono – racconta Ubaldo/Gino – e dall’altro capo c’è il cardinale. Dalla Costa mi fa capire che non può dire molto a distanza. I tedeschi avevano bombardato e messo sotto controllo ogni cosa, telefoni compresi. Mi vuole all’arcivescovado e io prendo la bici ed esco di casa. Arrivo lì davanti e, come ogni volta che mi trovo di fronte a quest’uomo alto con la faccia d’aquila gloriosa, mi sento piccolo”. Pantani diventa poi il cardinale, Giusto tra le nazioni dal 2012: “Caro Gino – dice al ciclista – c’è bisogno di un uomo coraggioso e che non dia nell’occhio. Abbiamo bisogno di un corriere, di un postino diciamo così, che consegni a chi di dovere dei documenti falsi e tutto l’occorrente per salvare gli ebrei dai campi di concentramento. Questo postino deve avere le ali ai piedi, ma deve anche essere un uomo che non conosce la paura, perché rischia la vita, sua e dei suoi cari. E inoltre deve saper custodire nei confronti di chiunque questo segreto… hai capito quest’uomo chi è?”.
“Io non ho paura…io non ho paura…”, ripete Bartali dentro di sé. “Ma sono un uomo di carne e di sangue pure io e capisco – riflette poi a voce alta – che questa non è la solita tappa che parti, stacchi tutti e vinci. Qui c’è in ballo la mia vita, dei miei cari, di questa gente disperata”. Affettuoso, il cardinale incalza: “Ritieniti ovviamente libero qualunque sia la tua scelta, ma se accetterai Gino, è assolutamente necessario che tu non ne parli con nessuno per la riuscita dell’operazione. Neppure con tua moglie, ricorda. Questo perché, devo dirtelo con la morte nel cuore, se ti dovessero prendere meno sai e meno rischieranno tutti gli altri… ma ti domando solo di essere celere il più possibile nel darmi una risposta. Ogni giorno è buono o cattivo per ogni ebreo che in questo stesso istante è in pericolo”.
Furono queste ultime parole, spiega Ubaldo/Gino,” a convincermi che quella sarebbe stata la mia corsa”.
Sul palco sale idealmente anche Giorgio Goldenberg, l’ebreo fiumano nascosto in casa di Bartali che a Pagine Ebraiche aveva svelato la sua storia di salvezza, fino ad allora inedita e poi rivelatasi decisiva per lo Yad Vashem.
“Confermo – dice Ubaldo/Giorgio – è stato Gino. Proprio lui, il grande ciclista. Ci ha aperto le porte di un suo appartamento, in via del Bandino. E ci ha salvati. Una giornata d’autunno che mai dimenticherò. Era il ’43. Ci trovavamo a Firenze già da un paio d’anni, sulle colline di Fiesole. Venivamo da Fiume, che oggi si chiama Rijeka, dove eravamo scampati ad un rastrellamento che costò caro ai miei cugini, deportati e mai più visti”.
“Il rifugio di Bartali – prosegue il Testimone – divenne la nostra casa: una cantina senza finestre, affacciata su un cortile interno, un unico letto in cui dormire e guai a mettere la testa fuori. Io e mia sorella stavamo tutto il santo giorno chiusi lì, al buio, con il letto come stanza dei giochi, a contare le mosche per passare il tempo. Soltanto mia madre ogni tanto usciva per piccoli incarichi e per cercare del cibo, qualcosa da bere. E questo quando non lo faceva ci pensava Gino, che poi ho scoperto che lo faceva anche per altre persone”.
Passarono mesi di attesa e angoscia. Poi finalmente quel benedetto agosto del ‘44 i ponti che saltano in aria ma anche i tedeschi che se ne vanno. Il primo incontro, nella città senza aguzzini, Giorgio lo fa con un soldato un po’ speciale.
“Un soldato che ha sul braccio una Stella di Davide, il simbolo del mio popolo e della mia fede. È un volontario della Brigata Ebraica, accorso dall’allora Palestina sotto mandato britannico per liberare l’Europa. Canticchio l’Hatikwah, l’inno del futuro stato di Israele. Lui mi risponde in inglese. Corro in cantina, chiamo su mio padre e lui gli si rivolge in Yiddish, la lingua degli ebrei dell’Est. È più di un incontro, è un segnale. E sono sicuro che arriva dall’Alto. Salvo!”.

Dossier Ruote e pedali, Pagine Ebraiche Maggio 2018