Società – Libertà, un valore sempre più minacciato nell’Europa di oggi

bidussa«E in virtù d’una Parola/Ricomincio la mia vita/Sono nato per conoscerti/Per chiamarti/Libertà ». Così Paul Eluard nella sua composizione Liberté, scritta nel 1942, durante l’occupazione tedesca di Parigi, mentre il poeta era entrato a far parte della Resistenza. Libertà può essere un auspicio. In questa condizione si presenta come l’invocazione di qualcosa che non c’è. Ma anche, a lungo, la parola libertà è stata associata all’atto di rompere le catene. Forse dovremmo ricordarci che libertà è quella condizione che si fonda su delle regole e che dunque non si riconosce nel momento della rinascita, ma in quello della costruzione di un contesto e di una condizione che forse è anche la scrittura di un limite. Forse questa condizione sarebbe apparsa superflua in un altro tempo. Ho la sensazione che non sia più così. Non solo all’ombra del 25 aprile, ma forse anche di una condizione che ci riguarda anche in vista di Shavuoth (il prossimo 19 maggio). Ci sono delle parole che in alcune lingue hanno una grafia, un suono, ma è difficile pensare che siano mai state parola viva, esperienza vissuta. È libertà in armeno. Difficile dire se in questa lingua sia un parola che abbia avuto un’occasione. Anche una sola. Libertà si può dire e scrivere in molti modi. Non sempre si può dire. Per molto tempo non si è potuto viverla. In alcuni casi, va e viene. In altri è attualmente latitante. Per alcuni non c’è mai stata, o se c’è stata, non ne conservano memoria. Altri l’- hanno trovata solo andando in esilio, avendo dietro di sé il rumore dei passi dei propri inseguitori. Ci ho ripensato in questi giorni in cui la spiegazione complottista, vittimizzata, e generativa di violenza hanno serie possibilità di presentarsi come discorso comune. Molti invocano anche i persecutori (è significativo quante volte usino la parola libertà gli esponenti delle forze di governo in Polonia o in Ungheria, tanto per rimanere in Europa, ma anche nella Russia, in Ucraina, o anche nell’Austria del nuovo corso). Se la libertà è invocata da molti è significativo che poi i persecutori, o comunque coloro che la invocano a gran voce, spesso più di tutti, non la riconoscano ad altri. Anni fa Salvatore Veca (in Dizionario minimo, Frassinelli, 2009) ha proposto di considerare la parola libertà e di riflettere sui diversi significati che a quella parola si possono far risalire o che dalla sua evocazione si dipartono. Cito testualmente: “Se ci chiediamo com’è fatto un discorso a proposito della libertà, possiamo rispondere così: ogni discorso sulla libertà connette a suo modo la libertà con qualche altra cosa. Connette la libertà con l’eguaglianza, con l’efficienza, con la sicurezza, con la solidarietà, con la giustizia. Ogni discorso a proposito della libertà identifica un particolare concetto di libertà, distinguendolo da altri. Libertà positiva e negativa, libertà come autonomia e autorealizzazione delle persone, libertà dalla paura e dal bisogno, libertà come indipendenza individuale, e così via”. È una indicazione fruttuosa. Ha come presupposto il fatto che si abbia in mente l’idea di libertà come salvaguardia di libertà di azione di altri. È ancora l’unico linguaggio dell’UE? La battaglia per la libertà a lungo ci è sembrata acquisita, come appartenente a un tempo per il quale l’esperienza della mancanza di libertà era sufficientemente vicina nel tempo per consentire di essere preoccupati della libertà di tutti. È ancora così in Europa?

David Bidussa, Pagine Ebraiche, maggio 2018