Un contesto irreale

caloL’occupazione è un termine poco gradito; se si pensa alla Francia occupata, diventa addirittura sinistro. Nel caso d’Israele, vi è un crescente quanto inquietante consenso nel considerare occupato tutto il suo territorio, onde far galleggiare gli ebrei in aria, rendendo quanto mai reale la risalente definizione di Luftmenschen (cfr. Zionist studies, by Alfred M. Friedenberg, New York, 1904, p. 17) ossia, di uomini librati in aria, affidati ai capricci dei venti, un’immagine che supera lo stesso Marc Chagall.
L’opinione pubblica – parte di essa, emersa nei social media – schiuma di rabbia perché crepano pochi ebrei, e lo proclama ai quattro venti: erano male abituati. Intanto l’Unione Europea, che da decenni inserisce Hamas, che controlla Gaza, nella black list delle organizzazioni terroristiche, da altrettanti decenni fustiga Israele per le sue azioni contro Hamas, senza però indicare cosa dovrebbe fare. Si tratta, in tutti i casi, di un contesto irreale, e ancor più irreale diventerà per via dell’incapacità degli intellettuali di capire il bosco, anziché fare delle analisi sul singolo albero.
L’insurrezione/invasione tentata ed in corso nella frontiera fra Israele e Gaza, dovrebbe essere una disgrazia per coloro che la vivono e muoiono ma, al contempo, dovrebbe pure rivelarsi una fonte di studi e riflessioni. Oppure, un’infinita sorgente di contraddizioni: a) Israele non occupa ma è accusata di aver creato una prigione; se fosse vero, il governo israeliano, non guadagnandosi altro che attacchi dal mondo, dovrebbe essere un caso clinico. Ecco un caso di studio per gli intellettuali: ma questa categoria esiste oppure è, anch’essa un prodotto della fantasia? b) Israele riceve attacchi di razzi da Gaza che terrorizzano la popolazione a ridosso della Striscia, ma tuttavia la rifornisce ogni giorno che il Signore manda in Terra. Immaginate che nel corso della Seconda Guerra Mondiale gli USA avessero lanciato sul Giappone sia combustibili e vettovaglie che bombe? c) Gaza non è senza sbocchi, perché ha una frontiera con l’Egitto, attraverso il valico di Rafah. Secondo Al Jazeera, il ministro dell’interno di Hamas avrebbe accusato l’Egitto di aver pompato del gas tossico nei tunnel scavati sotto al valico; una dichiarazione sicuramente falsa, ma dalla quale emerge la mancanza di attenzione nei riguardi di quella frontiera d) la tragica “marcia del ritorno” è una denominazione data alla suddetta crisi che stride con l’attribuzione degli scontri allo spostamento dell’Ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme.; e) si disquisisce di proporzionalità delle risposte (in bello o ad bellum?), senza spiegare in cosa consisterebbero (vedi Eric Engle, The History of the General Principle of Proportionality: An Overview (July 7, 2009). 10 Dartmouth Law Journal 1-11 (2012); Barry A. Feinstein, Proportionality and War Crimes in Gaza under the Laws of Armed Conflict (December 4, 2009, disponibile nel web); una vision palestinese in: Noura Erakat, Operation Cast Lead: The Elusive Quest for Self-Defense in International Law (2009) 36 Rutgers L. Rec. 164 (2009); f) sul Corriere della Sera del 16 maggio 2018 a p. 11 campeggia una foto di un manifestante a Los Angeles con un cartello dove si legge che “dal fiume al mare è tutta Palestina” ma non è un soggetto isolato, perché simili striscioni campeggiano in tutto il mondo, mentre in Italia in diversi contesti appaiono mappe dove Israele non c’è più.
Aspettate pure le risposte degli intellettuali, consci però che marcirete nell’attesa. Consiglierei, invece, se non vorrete perdere la vita con le bizzarrie e divagazioni altrui, di gettare uno sguardo a qualche video di Angelica Edna Calò Livnè, insegnante, educatrice, formatrice, regista, scrittrice, fondatrice e direttrice artistica della Fondazione Beresheet LaShalom – Un inizio per la pace – con sede in Alta Galilea in Israele. Da qualche mese, un appello ricorre nei suoi discorsi, con voce rotta da inquietudine e mestizia: “lasciateci questo pezzo di terra”. Un poderoso dono di sintesi, che però non incanta quanto le bolle di sapone di tante involute elucubrazioni teoriche. Secondo Isaiah Berlin (The sense of reality, N.Y., 1996, p. 39), a proposito di come, perché e cosa gli uomini soffrano e facciano, la formulazione di leggi generali sarebbe sfociata in teorizzazioni pseudo-scientifiche, enunciate a scapito dei fatti (“at the expense of the facts”). Probabilmente vi sono due modi di operare un distacco fra intellettuali ed intelletto; l’uno riguarderebbe l’assenza di enunciati, l’altro si risolverebbe nel coprire siffatta assenza con enunciati che comportino una sfida al buon senso e alla buona vista, declassati a virtù borghesi.

Emanuele Calò, giurista

(22 maggio 2018)