Parlino i fatti

caloLa narrazione che per due millenni ha occupato le scene riguardava il deicidio: gli ebrei avevano ammazzato Gesù, e non solo nell’anno 33 ma, nella sostanza, anche in seguito, rendendone responsabili anche i soggetti nati mille anni dopo, e lasciando in ombra la responsabilità dei Romani, come se gli oppressi avessero potuto impartire istruzioni all’oppressore. D’altronde, non si sarebbe potuto predicare il cristianesimo nell’Antica Roma attribuendo la responsabilità del deicidio ai destinatari della predica. Con un ritardo di qualche millennio, grazie anche al Concilio Vaticano II, ogni ebreo che nasce è, in qualche modo, esente da tali colpe.
In capo a pochi anni – anzi, in ipotesi, senza soluzione di continuità – s’inserisce una nuova narrazione, per la quale i palestinesi sono martoriati dagli ebrei israeliani. In Italia, per ribadire il concetto, il 25 luglio 1982 secondo il resoconto dell’allora rabbino capo Elio Toaff, un folto gruppo di manifestanti, durante uno sciopero indetto da Cgil, Cisl e Uil, passando dinanzi alla sinagoga, scandisce slogan contro lo Stato d’Israele assortiti da grida antisemite. Dal corteo si stacca un gruppetto di manifestanti che porta sulle spalle una bara e la depone sotto le lapidi del Tempio che ricordano i Martiri delle Fosse Ardeatine. Meno di tre mesi dopo – e precisamente il 9 Ottobre 1982 – una bara viene puntualmente riempita col corpo di un fanciullo ebreo di due anni, Stefano Gay Taché.
Perché colpire Roma? Come ciascuno sa, anche se disinvoltamente si scrive sui quotidiani infangando le Comunità ebraiche, al loro interno ci sono tutte le opinioni possibili sul conflitto mediorientale. Questo però non è l’assunto principale, costituito invece dall’estensione del conflitto agli ebrei di tutto il mondo. Non si menziona spesso, per un processo di rimozione comprensibile ma non giustificabile, che le istituzioni ebraiche di tutto il mondo vivono barricate. Quando ho provato ad entrare nel Museo di una Comunità ebraica a Buenos Aires, mi hanno sottoposto a controlli e domande di ogni tipo. Avevano le loro buone ragioni: il 18 luglio 1994 una loro istituzione, l’AMIA (Associazione Mutualità Israelitica Argentina) era stata fatta saltare in aria col tritolo provocando 85 morti e 200 feriti; su queste pagine si è largamente informato sul macabro seguito. Certo, possiamo cercare di convivere con chi non ci ama, purché consapevoli che il leone – Woody Allen dixit – giacerà con l’agnello, ma l’agnello non dormirà molto.
Giorni addietro, in merito all’appello “Tacciano le armi in Medio Oriente”, la Presidente UCEI Noemi Di Segni ha dichiarato: “Noi tutti abbiamo a cuore tanto l’esistenza dello Stato di Israele quanto la tutela dei diritti degli ebrei italiani. L’UCEI, assieme a tutte le Comunità, legge e ascolta gli appelli ma anche le grida di odio che si riversano anche sui social e media, e che sono divenute la nostra costante preoccupazione. Ritengo che in una fase così drammatica come quella che stiamo tutti vivendo, in cui le tensioni politiche e militari sono sotto scrutinio continuo, l’unico vero appello che si possa fare è quello alla coraggiosa verità”. Poiché tale dichiarazione si rivolgeva ad “un gruppo di accademici.”, quale migliore sede di quella per esplorare senza preconcetti la verità? Non è forse l’accademia l’ambito preposto alla ricerca obiettiva e mai superficiale?
L’appello di Noemi Di Segni alla coraggiosa verità non veicola una clausola di stile, perché gli odi scaturiti dalle vicende mediorientali sono alimentati in gran parte dalla parzialità delle asserzioni. Avendo avuto modo di pesare in molti mass media sia gli interventi dei giornalisti che le reazioni del pubblico, non è stato difficile constatare che dalla sistematica rimozione dei dati sfavorevoli alle proprie opinioni non può che emergere la demonizzazione. Purtroppo, non si tratta di una constatazione che si arresti all’ambito euristico, perché la ricerca è condizionata più dalla necessità di conferme che dalla messa in discussione delle acquisizioni convenzionali. Per contro, una comune ricerca non potrebbe che comprendere tutti gli elementi riguardanti la tragedia di Gaza, alcuni dei quali sono stati menzionati nella nostra precedente rubrica. Per quanto vale l’esperienza diretta, è il caso di soggiungere che la popolazione israeliana a ridosso di Gaza ha venti secondi per correre al rifugio la cui costruzione in ogni casa sarebbe ormai cogente, per sfuggire ai razzi lanciati dalla Striscia; grazie a detti rifugi e all’Iron Dome, Israele esiste ancora. Ho lanciato una proposta (far tacere le armi dialettiche e lasciar parlare i fatti); non penso che verrà rigettata solo perché sono ebreo.
Una postilla: Adolf Hitler, il 30 gennaio 1939 aveva dichiarato: “Oggi voglio essere di nuovo il profeta: se il giudaismo della finanza internazionale, in Europa o altrove, riuscisse ancora una volta a gettare i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e la vittoria del giudaismo, ma l’annientamento della razza ebraica in Europa”. Pochi mesi addietro, Benito Mussolini aveva chiarito che “l’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del Fascismo”. Ma gli ebrei erano davvero colpevoli? Sì, lo erano, come lo erano, il 14 luglio 1555, al tempo dell’emanazione della emanazione della Bolla Cum NimisAbsurdum, che li costringeva nel ghetto, della morte di Gesù Cristo, ancorché fosse avvenuta 1522 anni prima. Oppure come la colpevolezza della Setta Demoniaca dei Ciechi in “Sobre héroes y tumbas”di Ernesto Sabato, i quali ciechi controllavano il mondo. Sì, colpevoli: come l’ostaggio sposa la causa del suo carceriere (la c.d. sindrome di Stoccolma) cosa poteva restare ai derelitti se non prendere atto che l’indecifrabilità della loro colpa doveva trasfigurarsi nella colpa stessa? È non è finita. Questo sentimento s’impossessa di noi e non c’è ragione che lo trattenga, perché ci rifiutiamo di lasciare tutto quest’odio così minaccioso da solo…ma ora, vi prego, continuate voi a vergare queste righe.

Emanuele Calò, giurista

(29 maggio 2018)