…semplificazioni

Se l’economia italiana è in crisi la colpa è tutta dell’importazione di olio d’oliva dalla Tunisia. Nessuno ci crederà, ma è proprio così. Qualcuno penserà a una farneticazione dovuta al calore estivo. D’altro canto, c’è anche chi afferma (Senatrice Barbara Lezzi, M5S) che l’aumento della produzione industriale in Italia è dovuta al maggior uso di condizionatori. Quindi, perché sorprendersi se qualcuno mette sotto accusa l’importazione di olio d’oliva dalla Tunisia.
È lecito chiedersi, tuttavia, che cosa non funzioni più in un paese che si abbevera alle menzogne degli imbonitori di passaggio. Spesso una certa dose di incompletezza (in alcuni casi, di mancata onestà) da parte di chi formula il messaggio, certamente una buona dose di ingenuità da parte di chi lo riceve e lo ingolla senza preoccuparsi di masticare.
È vero infatti che l’olio dalla Tunisia (e dalla Spagna) lo si importa perché la produzione interna non è sufficiente al fabbisogno del paese, ma, soprattutto, perché l’olio buono prodotto in Italia, assai più costoso, viene venduto all’estero, dove il consumatore di buon gusto è disposto a pagarlo di più. Noi, invece, scegliamo di condirci l’insalata con olio da cinque euro, magari maldestramente miscelato con l’olio lampante (quello che si usava per l’illuminazione interna) che qualcuno ci rifila dall’estero.
Non c’è dubbio che raccontare che la crisi della nostra economia è dovuta all’importazione di olio d’oliva è un modo semplice ed efficace di colpire l’immaginazione della gente. Da un lato, si fa poca fatica a prepararsi per fare un comizio, dall’altro, si ottiene un effetto immediato e sicuro sulle menti e sulle emozioni di chi non ha voglia di andare a informarsi da sé sulle verità del nostro tempo. Troppa fatica, e siamo tutti di fretta. Meglio affidarsi alle frottole che girano in rete e ai titoli della stampa di partito.
Si sa bene, del resto, che chi spaccia soluzioni semplici a problemi complessi o non ha capito niente (ed è assai probabile) o sta cercando di fregarti.
Alla faccenda dell’olio d’oliva somiglia molto il modo in cui viene trattato un altro caso delicato dei nostri giorni: la questione Soros.
George Soros, al secolo Gyorgy Schwartz, è un imprenditore e finanziere di origine ebraico-ungherese che, essendo ebreo, viene spesso definito dai suoi avversari come uno ‘speculatore’. Come è ben noto, infatti, un finanziere cattolico o protestante è un finanziere, un finanziere ebreo è un ebreo e quindi speculatore. E chi si occupa di finanza conosce bene la linea sottilissima che separa la finanza dalla speculazione. Una linea trasparente e invisibile. Una linea che, da un certo punto di vista, non esiste proprio. Se Soros è uno speculatore, e non è mia intenzione qui difenderlo, lo è allora ogni altro finanziere e investitore. Chi più chi meno. La lista sarebbe troppo lunga per una nota come questa.
Ma Soros ha delle aggravanti, e Matteo Salvini, il nostro nuovo Ministro dell’Interno e Vicepresidente del Consiglio, lo sa bene. Ai suoi occhi, Soros è il finanziere/speculatore che ‘reinveste’ in beneficenza una buona percentuale dei soldi che guadagna, e questo è insolito. Insolito, poi, che questo filantropo progressista, vicino al partito democratico americano, dedichi le sue finanze all’assistenza a migranti e diseredati. Sembra che a inizio 2017 avesse un patrimonio di circa 25 miliardi di dollari. A fine 2017, le donazioni lo fecero scendere a 8 miliardi di dollari. Una vera follia. Insolito, infine, che il liberal Soros, naturalizzato americano, punti l’indice sui rapporti curiosi e troppo stretti fra Salvini e Putin, in funzione anti-europea. Sui rapporti fra i due indagherà la stampa, se ne sarà in grado. Ma il comune interesse anti-europeo è sotto gli occhi di chiunque abbia occhi. Fino a dove questo comune interesse voglia spingersi è preoccupazione che gli italiani avrebbero il diritto di coltivare con cura, perché ne va del loro destino.
Quel che non si capisce, penserà Salvini, è perché questo Soros non si faccia i fatti suoi: non gli piace Putin, critica Trump, non è tenero con Netanyahu, finanzia le migrazioni globali. Che voglia destabilizzare il globo? E infatti circoli grillini lo bollano come ‘apolide’, ‘mondialista’, insomma, diciamolo chiaramente: il solito ‘EBREO’.
Ma la gran rabbia degli avversari di Soros sta nel non poterlo accusare della proverbiale avarizia ebraica. Lo si può tuttavia accusare di mondialismo, ossia il potere ebraico che tiene fra le sue grinfie la finanza mondiale e il potere che tutto domina e su tutto complotta. Nulla di più lontano dalle idee nazionalistiche e autonomistiche che vorrebbero ogni nazione e, al suo interno, ogni regione ben fortificata in modo da impedire qualsiasi contaminazione dall’esterno.
Contaminazione economica, politica, culturale e, perché non dirlo, alla fine, etnica e ‘razziale’.
A me piacciono l’olio d’oliva umbro e quello toscano. Solo, vorrei che fossero un po’ meno cari. Ma non è un buon motivo per bloccare l’importazione di olio tunisino. Specie adducendo motivi semplificati che con la realtà non hanno nulla a che fare. Lo stesso vale per Soros, che essendo un finanziere agisce da finanziere, ma presentare proprio lui come un diavolo… Di diavoli della finanza se ne conoscono altri, con altri nomi e cognomi, e nessuno li ha mai accusati di essere speculatori, mondialisti e cattolici, o protestanti. La colpa di Soros è di occuparsi di politica, di società e di esseri umani.
Ma le semplificazioni piacciono alla gente, specialmente di questi tempi, sofferti e difficili. Ma noi ricordiamo bene come, con le semplificazioni, gli ebrei siano stati additati a malvagi, tutti ricchi banchieri speculatori, sfruttatori del popolo e via dicendo. Qualcuno ancora ci chiede se abbiamo la coda e se mangiamo i bambini cristiani. Gli ebrei sono stati il trampolino da cui la dittatura ha spiccato il salto per imporsi e gestire a piacimento potere e politica del sopruso.
Dire, ora, ‘stiamo a vedere, e speriamo bene’ mi sembra davvero troppo poco.

Dario Calimani, Università di Venezia