Toponomastica, la pulizia da fare

Se siete di passaggio a Castellammare del Golfo (Trapani), non fatevi mancare una visita alla via Telesio Interlandi. Appena una stradina, niente di speciale per un turista che vuole ammirare le bellezze dell’isola, se non per la curiosità di vedere come sia possibile intitolare uno spazio pubblico alla memoria di un pubblicista passato alla storia solo come propagatore di odio e di infami menzogne antisemite. Trovarla non è facilissimo, ma con un poco di pazienza, aggirandosi dalle parti di corso Garibaldi, è possibile. Quale il motivo di un tale onore a un uomo di fiducia del regime fascista che Mussolini destinava alle missioni più sporche e spregiudicate e che i nazisti presero a esempio come efficiente propagandista antisemita? Non resta nemmeno il pretesto di aver dato i natali all’individuo, visto che Interlandi era nato in provincia di Ragusa, all’altro capo della Sicilia. Certo a Castellammare hanno pensato che fosse opportuno riunire parte
della famigerata redazione del periodico La difesa della Razza, cui Interlandi diede vita e che diresse nel 1938. Una piazza, infatti, si dedica ora anche quello che fu il suo segretario di redazione, Giorgio Almirante.
Ma lo stradario della vergogna non si ferma qui. Come raccontano Mario Avagliano e Marco Palmieri in Di pura razza italiana (Baldini e Castoldi editore), l’appassionata ricerca storica dedicata ai tanti italiani che si macchiarono, per vigliaccheria o opportunismo, di un’entusiastica adesione alle leggi razziste del 1938, e come denuncia da Napoli Daniele Coppin, molti altri che si distinsero nella costruzione dell’impalcatura ideologica antisemita e crearono le premesse per la Shoah, godono impunemente dell’onore di una strada intitolata in qualche città italiana.
È il caso di Nicola Pende (una strada a Bari, una a Modugno di Bari e una a Modena), Sabato Visco (ha una via a Salerno) e Arturo Donaggio (porta il suo suo nome una via alla periferia di Roma e un’altra a Falconara di Ancona), tre gerarchi dell’università italiana che macchiarono il proprio onore e la propria credibilità scientifica sottoscrivendo per primi nel 1938 il Manifesto della razza del fascismo. Il caso che ha dato evidenza allo stradario della vergogna riguarda però forse il più illustre di questi antisemiti, il giurista Gaetano Azzariti. Magistrato, presidente del famigerato Tribunale della Razza del fascismo (aveva accettato il compito di esprimere pareri non motivati e insindacabili riguardo all’”appartenenza alla razza ebraica”), Azzariti era uomo capace di cadere sempre in piedi e la sua carriera non conobbe momenti di sosta. Già nel 1943, dopo l’Armistizio, aveva prontamente cambiato come tanti divisa. Alla fine della guerra la sua carriera proseguì come consigliere dei ministri della giustizia Togliatti e Parri, poi, insignito dal Quirinale dell’onorificenza di Cavaliere della Gran croce della Repubblica, finalmente fino al massimo grado di presidente della Corte costituzionale. Per Azzariti si registra appena una strada a Roma, in zona Torrevecchia, non lontano dal Policlinico Gemelli, e uno stretto vicolo di Napoli. Proprio a molti napoletani questa via Azzariti, nel cuore della città che per prima scese eroicamente in strada per liberarsi dei nazifascisti, non va giù. Il quotidiano Il Mattino ha pubblicato una nota critica dello scrittore Nico Pirozzi, coordinatore del progetto Memoriae, che punta il dito su questo sconcio. E il Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Sandro Temin propone che le istituzioni dell’ebraismo italiano scendano in campo intervenendo sulle amministrazioni municipali responsabili.
Forse è il momento di prendere atto che per fare i conti con il proprio passato gli italiani devono percorrere ancora molta strada. E cominciare a fare pulizia nello stradario di molte città.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche marzo 2014