Machshevet Israel – Vulnerabilità, leggi ed empatia

Cosimo Nicolini CoenCon il termine ‘vulnerabilità’ identifichiamo una caratteristica propria – a livello ontologico, strutturale – all’uomo? O, invece, il termine ‘vulnerabilità’ qualifica determinate soggettività sociali? Questo interrogativo, enunciato tra gli altri dai filosofi del diritto Francesco Viola e Baldassarre Pastore, articola la riflessione giusfilosofica sul tema della vulnerabilità. Riflessione in effetti interdisciplinare, come attestato dal convegno “vulnerabilità delle istituzioni e vulnerabilità di fronte alle istituzioni”, tenutosi all’Istituto italiano di studi germanici il 19 giugno scorso e organizzato da alcuni docenti dell’università Kore. Il tema della vulnerabilità è tema filosofico – nella misura in cui domanda della condizione dell’uomo, nella sua dimensione singolare e collettiva – e sollecita, in quanto tale, il pensiero ebraico. Anzitutto la distinzione sopra richiamata (vulnerabilità quale statuto ontologico/ quale statuto proprio a determinate soggettività) è ripercorribile in seno alla Tradizione. Da una parte, infatti, si profilano soggettività specificatamente vulnerabili: a partire i figli di Israele in terra d’Egitto fino allo “straniero, la vedova, l’orfano e il povero” – all’interno di Israel – passando per la figura del viandante, di colui che necessità di ospitalità. Dall’altra è l’uomo in quanto tale ad essere ontologicamente vulnerabile e lo è nella sua prima dimensione intersoggettiva, quella della fratellanza – come noto tratteggiata in modo ben poco idilliaco dalla narrazione biblica. In secondo luogo è possibile domandare se gli obblighi che il singolo e una data collettività contraggono nei confronti di un soggetto vulnerabile siano obblighi che affondano le loro radici in un imperativo ricevuto (vuoi da “Mosé sul monte Sinai”, vuoi da un sovrano, vuoi, infine, da una figura autorevole) o, viceversa, si generino a partire da un moto naturale, una sensazione di obbligazione che nasce dalla percezione – ciò che oggi chiameremmo forse empatia. In terzo luogo dovremmo chiederci se la legge venga a proteggere un dato soggetto vulnerabile o, in toto, l’uomo quale essere naturalmente vulnerabile – come gli obblighi enunciati nella Torah lascerebbero intendere o se, invero, la legge, nelle sue molteplici diramazioni nonché, per parafrasare Agamben, in dati stati di “eccezione”, non venga a creare nuovi soggetti vulnerabili prima sottoponendoli a leggi ad hoc e dunque, espellendoli dall’alveo civile. Interrogativi aperti, che non necessariamente implicano risposte univoche, e che possono rivelarsi strumenti utili a comprendere la realtà, l’uomo appunto.

Cosimo Nicolini Coen