Qui Trieste – Da Mantova a Gerusalemme
La gloriosa storia dell’ebraismo mantovano attraverso la sua produzione artistica e i suoi antichi oggetti sacri, oggi in gran parte dispersi nel mondo e diversi dei quali custoditi a Gerusalemme. A raccontarla è il volume Mantova e Gerusalemme. Arte e cultura ebraica nella città dei Gonzaga di Andreina Contessa, direttrice del Museo Storico e del Parco del Castello di Miramare.
Pubblicata da Giuntina, l’opera è stata presentata ieri nel Museo ebraico di Trieste nel corso di un incontro cui sono intervenuti, oltre all’autrice, anche Francesca Zaltieri, presidente de “Le Regge dei Gonzaga” di Mantova, e il coordinatore del Museo rav Ariel Haddad.
C’è un solido legame d’arte e di pensiero, al di là dei sentimenti, fra Gerusalemme e l’Italia ebraica? Nel suo nuovo “Mantova e Gerusalemme, arte e cultura ebraica nella città dei Gonzaga” Andreina Contessa ne offre la prova concreta e ripercorre cinque secoli legando un filo di arte, fede e bellezza disegnato sulle tracce materiali della storia ebraica. Il libro traccia una breve storia dell’ebraismo mantovano attraverso la sua produzione artistica e i suoi antichi oggetti sacri, oggi in gran parte dispersi nel mondo. Seguendo le peregrinazioni da Mantova a Gerusalemme di una delle arche sante più antiche del mondo, l’autrice rivela la storia della comunità ebraica mantovana aprendo orizzonti inattesi sulla committenza artistica ebraica in Italia, e su quella femminile in particolare. Sulle tracce della donatrice di quest’arca unica e splendida si percorrono le storie di tutte le arche mantovane oggi custodite a Gerusalemme.
“Nella primavera del 1543 – spiega la storica dell’arte – una donna fece dono alla Sinagoga Grande (Schola Grande) di Mantova di una magnifica arca santa e di due cathedrae monumentali. L’arca santa era destinata a custodire i rotoli della Torah, e sarebbe divenuta il cuore della liturgia sinagogale; le due cathedrae avrebbero accolto i notabili della comunità.
Sia l’arca che le cathedrae erano eseguite in legno finemente intagliato, scolpito e dorato, con un’elegante e finissima decorazione a racemi e foglie d’acanto. Un’iscrizione su una delle cathedrae indicava che la donatrice era Consilia Norsa, figlia di Samuele (Shemuel) Da Pisa e moglie di Isacco Norsa di Ferrara. Questi splendidi oggetti liturgici si sono conservati fino ai giorni nostri, sopravvivendo al tempo e alla storia, e l’iscrizione dedicatoria è tutt’ora ben leggibile. Seguendo la storia incredibile della Sinagoga Grande di Mantova, arca e cathedrae furono portate a Sermide, dove rimasero per molti secoli, fino a quando, nel 1955, furono trasportate a Gerusalemme, e destinate a divenire uno dei fulcri dell’esposizione permanente del Museo di Arte Ebraica Italiana Umberto Nahon”.
In questo libro, che amplia ulteriormente le precedenti ricerche, viene pubblicata per la prima volta una breve storia dell’ebraismo mantovano raccontata attraverso la sua produzione artistica e i suoi oggetti di culto, ormai in gran parte dispersi nel mondo, e una scelta di documenti e manifesti che aprono scorci interessanti della vita ebraica nel corso del tempo. Seguendo le peregrinazioni da Mantova a Gerusalemme del suo elemento più rappresentativo, l’arca santa del 1543, si vuole dipanare il filo della storia di una delle comunità ebraiche più importanti dell’Europa di quel tempo, e aprire nuovi orizzonti nello studio della committenza artistica ebraica in Italia, e su quella femminile in particolare, analizzando il modo in cui le donne del Rinascimento affidavano la loro memoria a doni devozionali. In questo libro inoltre si propone una rinnovata analisi dell’arca santa e del suo contesto e si percorrono, dove possibile, le sto rie di tutte le arche mantovane che sono conservate a Gerusalemme e in Israele. “Finalmente – commenta il professor Shlomo Simonsohn dell’Università di Tel Aviv – s’è trovato uno studioso che ha voluto riscattare l’arca dall’oblio e svelare i suoi segreti. Scartata in seguito dalla stessa comunità ebraica mantovana e ceduta a quella di Sermide nel Mantovano, poi scartata di nuovo, l’arca fu salvata infine dal compianto Umberto Nahon, che la portò a Gerusalemme negli anni cinquanta del secolo scorso. Lì essa fu restaurata e le fu trovato (almeno per il momento) un posto appropriato nel museo chiamato a nome dello stesso Nahon. La donatrice fu indubbiamente la Sara-Consi(g)lia, figlia di Samuele-Simone Da Pisa, moglie di Isacco Norsa, e sorella del noto Vitale (Yechiel) Nissim Da Pisa. L’artista-artigiano, creatore del mobile, ebreo o cristiano, è ancora ignoto, e probabilmente resterà tale”. E’ solo l’inizio di una storia appassionante in cui la storia dell’arte si fa testimonianza viva e appassionante e attraverso il caso specifico di una comunità gloriosa, quella di Mantova, testimonia dell’immenso patrimonio creativo che l’ebraismo italiano è stato capace di donare.
(Brano tratto da Andreina Contessa, Mantova e Gerusalemme, Giuntina)