La Turchia in mano a Erdogan

rassegnaRecep Tayyip Erdogan sarà nuovamente presidente della Turchia. Nessun ballottaggio, perché Erdogan al primo turno ha conquistato il 53% dei voti, consolidando il suo potere. La sua coalizione ha conquistato 343 seggi su 600. “L’uomo al potere da quasi 16 anni in Turchia, potrà ora avere le mani libere e portare avanti le sue riforme, economiche e sociali, molte delle quali viste con una certa preoccupazione da diversi Paesi europei”, sottolinea il Sole 24 Ore. “Inizia così l’era del “superpresidente” della Repubblica turca – scrive il Messaggero – che ottiene cosi anche poteri esecutivi in diversi campi dell’amministrazione pubblica: dalla giustizia, alle funzioni ministeriali e di governo”. La vittoria di Erdogan, spiega invece il New York Times, avrà “conseguenze potenzialmente gravi per la cooperazione all’interno della NATO, la sicurezza in Iraq e Siria e il controllo dei flussi migratori verso l’Europa. La Turchia ha continuato a cooperare con i suoi partner occidentali nella lotta al terrorismo, ma Erdogan ha messo alla prova l’alleanza della NATO avvicinandosi al presidente russo Vladimir V. Putin, acquistando un sistema avanzato di difesa missilistica russa e progettando un reattore nucleare russo in Turchia”.

Israele, la visita del principe. Con il viaggio che inizia oggi, il principe William sarà il primo membro della famiglia reale britannica a fare una visita ufficiale sia in Israele che nei territori palestinesi. “È dunque comprensibile – scrive la Stampa – che l’arrivo del principe William sia salutato in tutto il Paese con trepidazione, coinvolgimento e immancabili polemiche. Soprattutto quando il passaggio previsto al Muro del Pianto è stato incluso nella parte di visita di competenza dell’Autorità Palestinese: se è vero che la Città Vecchia di Gerusalemme è stata conquistata da Israele nella Guerra dei Sei Giorni e non rientra nei confini del 1948, lo è altrettanto che quello è il luogo più ebraico che ci sia. Il compromesso raggiunto è: nessun passaggio ufficiale in Città Vecchia— ‘solo’ tappa privata”.

Il piano di pace Usa senza l’Anp. “Presenteremo il piano di pace con o senza il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Se vuole venire al tavolo siamo pronti. Se no, lo diffonderemo: il progetto prevede massicci investimenti per i territori palestinesi e forse teme che i suoi possano apprezzarlo”. Il virgolettato, ripreso da Repubblica, è di Jared Kushner, genero di Trump e consigliere alla Casa Bianca per il Medio Oriente. Kushner ha parlato con il quotidiano palestinese al-Quds, al termine della sua missione nell’area per illustrare le linee guida del piano di pace Usa, e ha ribadito la disponibilità a incontrare il leader dell’Anp Mahmoud Abbas. Quest’ultimo, riporta la Stampa, non ha voluto incontrare la delegazione americana. Tra i temi di dissenso, oltre lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, il progetto dell’amministrazione americana di aprire un canale di “interventi finanziari e economici nella Striscia di Gaza, per alleggerirne la situazione umanitaria e favorire così il Piano stesso. Isolando di fatto Abu Mazen, che nella sua lotta con Hamas sta perseguendo un suo pugno di ferro economico nei confronti di Gaza”.

Il Fatto risponde a Salvini. “La direzione e la redazione del Fatto Quotidiano sono solidali con Furio Colombo e invitano – se questo può avere un senso – il vicepremier e ministro Salvini a rispettare chi la pensa diversamente da lui. Si possono avere, esprimere e contestare le più diverse opinioni su fatti e persone, ma il disprezzo ad personam che cala da un’alta carica di governo su un giornalista con espressioni ingiuriose come ‘schifo’ sono un pessimo segnale di intolleranza nei confronti di chi dissente. L’ennesimo”. Così il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio risponde al ministro dell’interno Matteo Salvini che in un tweet aveva attaccato la firma del quotidiano Furio Colombo per un suo articolo pubblicato sul quotidiano ieri dal titolo “Trump e Salvini: rabbia e vendetta”.

Segnalibro. Il Messaggero intervista l’autore del romanzo Chiamami con il tuo nome André Aciman. “Nato nel 1951 ad Alessandria d’Egitto, da una famiglia ebraica sefardita, costretta alla fuga dall’ascesa di Nasser, è diventato apolide prima per necessità e poi per vocazione”, scrive il quotidiano a cui Aciman spiega: “Mio padre è nato in Turchia, poi è arrivato in Egitto, dove a un certo punto è stato cacciato, si è rifugiato a Parigi. E poi da lì ha deciso di emigrare negli Stati Uniti. Gli ebrei sono nomadi da sempre, e si può anche perdere tutto una volta, ma perdere tutto di nuovo è un po’ ridicolo, come diceva Oscar Wilde”.

Daniel Reichel twitter @dreichelmoked