casa…

“Come sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, o Israele” (Numeri 24,5). È questa una delle sublimi espressioni rivolte ai figli d’Israele da Bil’am, un veggente ingaggiato per maledire il popolo e trovatosi, suo malgrado, per volontà dell’Eterno, a pronunciare, in spirito profetico, elevate parole di benedizione. Le dimore di cui ci parla questo passo della Torah, che Bil’am contemplò estasiato, sono state variamente interpretate dai Maestri; nel senso letterale, riportato anche da Rashì, rappresentano la purezza di sentimenti e il reciproco rispetto che caratterizzava tutto il popolo d’Israele, dal momento che le tende dell’accampamento erano disposte in modo tale che gli ingressi non fossero mai prospicienti gli uni agli altri, così da preservare l’intimità e la riservatezza nella vita privata di ogni famiglia. In senso metaforico sono state interpretate nel midrash come allusione alle “dimore” ove viene coltivata la spiritualità d’Israele, il Bet Hamikdsh, il Santuario, quando questo era costituito, in seguito i luoghi di studio della Torah e di preghiera, il Bet Hamidrash e il Bet Hakeneset. Nel commento Sheerit Menachem ( R. Menachem Hegher) troviamo una suggestiva “lettura”, al tempo stesso concreta e simbolica di queste tende e dimore; il Rabbi fa riferimento alla consuetudine di leggere questo versetto all’inizio della preghiera mattutina, entrando nel Bet Hakeneset, allorquando ciascuno ha da poco lasciato la propria abitazione per iniziare la nuova giornata; quando dietro di noi ci lasciamo una casa ove si vive secondo gli insegnamenti della Torah, una casa di cui si può dire “ tovu ohalekha” – le belle tende d’Israele, allora anche “mishkenotekha”, ovvero le sacre dimore, i luoghi di preghiera e di studio sono veramente pieni di keddushà, di santità. Perché, ancor prima che nella Sinagoga e nel Bet Hamidrash, è in casa, all’interno della famiglia, che nasce la pienezza della vita ebraica.

Giuseppe Momigliano, rabbino