Max Fuchs (1922-2018)

Per la prima volta in Germania, dopo anni di persecuzione spietata, le parole del rito ebraico tornavano ad occupare lo spazio pubblico. A Berlino il nazismo era ancora al comando, ma si aprivano le prime brecce che avrebbero portato alla capitolazione del regime. Ad Aachen, capoluogo della Renania Settentrionale-Vestfalia da poco liberato, a pochi chilometri dal confine con Belgio e Paesi Bassi, un soldato si affianca al cappellano militare che officia davanti a 50 soldati ebrei americani. Manca un cantore, e lui forte della sua bella voce si presta senza esitazione. Insieme, celebrano lo Shabbat. Immagini, parole e canti che presto faranno il giro del mondo.
“Un’emozione indiscernibile” avrebbe raccontato anni dopo quel soldato, Max Fuchs, in una intervista rilasciata all’American Jewish Committee. Nato a Rzeszow in Polonia, emigrato insieme alla famiglia a New York a metà degli Anni Trenta, negli Stati Uniti aveva iniziato a ricostruirsi una vita. E con la divisa dell’esercito del suo nuovo paese aveva liberato l’Europa dal mostro. Un’esperienza che lo avrebbe duramente segnato al punto, riporta la stampa americana, da tormentarlo per almeno venti anni con ricorrenti incubi per le atrocità che i suoi occhi erano stati costretti a testimoniare.
Protagonista dello sbarco in Normandia nel giugno del 1944, quattro mesi dopo Fuchs sarebbe stato in prima linea anche ad Aquisgrana (la prima città tedesca a cadere). La sua voce, il 29 ottobre di quell’anno, da un luogo non distante dalle macerie della sinagoga si sarebbe propagata nelle case di milioni di americani.
Sullo sfondo si sentono ancora colpi d’artiglieria. La città non è sicura, la minaccia nazista non del tutto annientata. Ma il profumo della libertà entra nelle case tedesche con lo Shabbat. Uno Shabbat indimenticabile.

(9 giugno 2018)