Camminare scalzi
Dieci tesine, piuttosto evidenti, sui processi migratori, tanto per non perdere l’allenamento (e la memoria) in materia:
1) i processi migratori non sono l’eccezione bensì la regola nella storia umana. Non esiste alcuna società che non sia stata costituita, popolata e rigenerata dai fenomeni migratori. In sé, questi ultimi non sono né un bene né un male. Sono semmai parte della trasformazione continua di ciò che chiamiamo “mondo”, all’interno di un mercato globale dove i singoli individui cercano di porre rimedio alla condizioni di sfavore, nelle quali si possono trovare, cercando una compensazione attraverso il cambiare luogo di vita, di relazioni, di legami;
2) l’ibridazione, che piaccia o meno, è il tratto distintivo dei fenomeni migratori: implica che persone e gruppi di diversa origine si incontrino sul medesimo territorio, con tutte le conseguenze che, di volta in volta, da ciò possono derivare;
3) tali conseguenze sono spesso problematiche, al di là della buona (o cattiva) volontà dei singoli: l’evoluzione di una società è quindi determinata anche dalla capacità di fare fronte al mutamento senza esserne travolti. Si tratta dell’impegno più importante che un paese può assumere verso se stesso;
4) gli Stati esistono se riescono ad esercitare una sovranità, un diritto d’imperio che si esercita, attraverso un insieme di strumenti, sulla popolazione che li compone (che si tratti di aventi cittadinanza o meno); se una comunità politica non riesce a governare i processi sociali che l’accompagnano, rischia prima o poi di dissolversi. La storia è piena di esempi al riguardo, fermo restando che ciò che noi intendiamo con il nome di Stato, nazione, popolo e così via non sono delle “essenze” permanenti bensì dei prodotti storici, destinati a mutare, a volte anche a collassare, con il trascorrere del tempo;
5) i processi migratori non riguardano, nella maggioranza dei casi, persone anziane, impedite e prive di risorse, bensì quella parte delle comunità che sono più giovani, attive, orientate quindi a investire su se stesse. Ci si sposta quando si hanno gli strumenti per farlo, si trattasse anche solo di un passaggio, pagato a caro prezzo, in una qualche carretta del mare;
6) l’immagine prevalente, di taglio “politico”, che associa i migranti al problema dei profughi e dei rifugiati, se è veritiera in alcune circostanze lo è assai meno quando si debba formulare un giudizio generale sui grandi spostamenti umani, determinati soprattutto da tre fattori: la ricerca di un habitat socioculturale migliore o più stimolante o comunque meno ostile rispetto a quello di origine (migrazione per ragioni demografiche e politico-religiose); la necessità di provvedere ai propri bisogni elementari in ambienti che sembrano offrire capacità di assorbimento, integrazione e redistribuzione delle risorse (migrazioni economiche); l’impossibilità di continuare a vivere in luoghi divenuti ostili a causa dei mutamenti climatici, naturali o antropici (migrazioni ecologiche). Segnatamente, nel computo generale delle migrazioni, a livello planetario, l’ultimo fattore è quello che incide maggiormente rispetto ad altre motivazioni;
7) buona parte dei migranti non si spostano verso mete lontane ma nei luoghi di accoglienza più prossimi ai paesi d’origine, nella speranza, non importa se fondata o meno alla prova dei fatti, di potere fare ritorno – prima o poi – ad essi. Non è un caso, ad esempio, se le crisi mediorientali comportino una pressione migratoria che incide soprattutto sulle nazioni limitrofe ai luoghi di maggiore conflitto o di tensione (ad esempio, il Libano ha un profugo-migrante ogni sei abitanti). Gli effetti di destabilizzazione permanente, in economie già fragili del proprio, sono evidenti a chiunque, rischiando di ingenerare altre ondate migratorie;
8) è illusoria l’idea, tanto più in un’età di globalizzazione, di potere fare fronte alla trasformazione sociale e alla transizione demografica (con il travaso di intere coorti generazionali da paesi più giovani a paesi anziani) attraverso politiche esclusivamente sovraniste, ossia basate sul ricorso ai soli strumenti che lo Stato nazionale ha al momento a disposizione. Gli organismi sovranazionali dovrebbero invece concorrere ad una tale gestione. Ma uno dei caratteri specifici del tempo che stiamo vivendo è l’evidente disarticolazione dei soggetti, dei meccanismi e delle iniziative che si basano su organizzazione internazionali, che hanno oggi un’incidenza sempre più contenuta nell’evoluzione delle dinamiche collettive;
9) la stragrande maggioranza dei migranti non è di per sé né buona né cattiva; non costituisce la falange di un’invasione così come non è il soggetto sociale di una trasformazione “rivoluzionaria”: le semplificazioni, al riguardo, sono speculari, che abbiano natura allarmistica o che siano informate ad una lettura ispirata a sentimentalismi che abdicano a qualsivoglia rapporto con il principio di realtà. Salvo poi consegnare ai segmenti più fragili della popolazione gli oneri che derivano dai mutamenti in corso. Ogni processo migratorio impatta inesorabilmente sia sulle società di partenza che su quelle di accoglienza: negare che da ciò derivino conflitti socioculturali è come volersi precludere i dati di fatto. Semmai, la differenza – che costituisce il vero campo di conflitto politico – sta nella natura delle interpretazioni di tali trasformazioni e nelle risposte che quindi si intende dare ad esse;
10) Le migrazioni sono un fatto economico complesso: non solo per le ragioni più evidenti (ossia la spinta per il migrante a cercare nuove risorse in altri luoghi) ma anche per il circuito di aspettative che si ingenera intorno all’atto del migrare medesimo. Una di queste è senz’altro lo sfruttamento – attraverso il contrabbando di esseri umani – del bisogno di cambiare la propria condizione e lo status di origine. Tuttavia, più in generale esiste un vero e proprio circuito della movimentazione dell’umanità che è parte integrante del mercato internazionale, a livello legale come sul piano dell’irregolarità sistematica. In questo complesso sistema di scambi (che non può mai essere letto con una sola chiave d’interpretazione) va inquadrato il fenomeno del business, o comunque del lucro (non solo finanziario), che deriva a più soggetti chiamati in causa nel transito di donne e uomini da un territorio all’altro. Valga solo la pena di ricordare che l’aspettativa (di un beneficio, qualunque esso sia) è parte fondamentale di qualsiasi processo economico. Anche in questo caso, che piaccia o meno.
Claudio Vercelli