Gaza, Europa ipocrita

Noi 32 firmatari siamo ebrei italiani che hanno scelto di risiedere in Israele. Rappresentiamo solo noi stessi, così come rappresentavano solo se stessi i 32 firmatari italiani della lettera aperta pubblicata da Micromega il 2 maggio scorso.
Non intendiamo qui smentire le falsità contenute in quella lettera né contraddirne le opinioni. Intendiamo qui semplicemente esprimere un nostro pensiero.
Non vogliamo entrare nel merito della minaccia mondiale costituita dall’Iran, la cui dittatura è tanto vezzeggiata dall’Europa e dall’Italia in particolare.
Non vogliamo entrare nel merito dei danni provocati dal movimento BDS europeo e italiano all’economia di Giudea e Samaria, e quindi agli arabi che lavoravano in aziende israeliane che hanno dovuto trasferirsi altrove.
Non vogliamo entrare nel merito delle falsità imputate dall’ONU a Israele (né delle verità taciute dall’ONU quando nei Paesi islamici si massacrano civili innocenti in massa e senza pietà): azioni e omissioni, quelle dell’ONU, che sempre trovano l’appoggio dell’Italia.
Non vogliamo entrare nel merito della complicità dell’UNRWA – di cui l’Italia è uno dei principali finanziatori – negli atti di terrorismo islamico e, peggio ancora, nella educazione al terrorismo dei giovani musulmani.
Non vogliamo entrare nel merito delle accuse di apartheid, quando non sterminio e genocidio, quotidianamente rivolte a Israele da gran parte dei media italiani.
Non siamo qui entrati nel merito di quanto sopra, ma se qualcuno vorrà chiedercene conto saremo ben lieti di fornire tutta la documentazione a supporto.
Qui vogliamo solo esprimere la nostra opinione su Gaza, argomento che occupa quotidianamente i media italiani in modo falso, vile e tendenzioso.
I cittadini di Gaza potrebbero vivere bene. L’intera Striscia di Gaza è nelle loro mani. Gaza è Judenfrei e Judenrein. I confini sono quelli del 1967 e non sono contesi.
E invece non c’è un momento di tregua. Gli arabi non ricavano nulla dai tunnel che scavano, dai missili che ci lanciano, dalla distruzione delle culture che abbiamo creato nel deserto. Nulla. E non solo, ma procurano a se stessi un danno ancor maggiore. In Israele si vive una vita decente, Gaza invece è sempre sull’orlo del collasso.
I cittadini di Gaza potrebbero ribellarsi, chieder conto dello spreco di milioni di dollari in tunnel e in missili: denaro che potrebbe essere usato per costruire case, scuole vere e ospedali, per procurare cibo, acqua, elettricità.
Se questo non succede è perchè gli arabi di Gaza non vogliono il ritorno ai confini del 1967 né a quelli che sono stati loro offerti nel 1947. Questi arabi sono stati educati, nelle loro madrassa e nelle scuole dell’ONU, a volerci morti. Il loro odio è più forte del desiderio di vivere bene. Questa è la priorità che si sono dati e questa priorità ai loro occhi appare sana e razionale. Se sono così accecati dall’odio, alimentato dall’Europa e dall’Italia, noi possiamo solo sopravvivere combattendo: una lunga difesa armata che non fa bene a nessuno.
C’è una sola via d’uscita e richiederà tempo: che l’Europa smetta di sostenere i terroristi. Che non faccia più finta di credere alle bugie di Hamas e alle colpe di Israele, che non permetta che gli enormi finanziamenti, che l’Italia ha appena raddoppiato, vengano usati per arricchire l’oligarchia che li riceve, per costruire strumenti di guerra, per scrivere testi scolastici che incitano all’odio.
Solo allora, solo se si smetterà di alimentare l’odio che oggi viene instillato con l’aiuto dell’Europa, e dell’Italia in particolare, solo se i Paesi finanziatori sorveglieranno l’uso che viene fatto del loro denaro a Gaza e lo indirizzeranno a investimenti produttivi e ad opere educative coerenti creando un ceto medio in grado di opporsi alla dittatura di Hamas, solo allora sarà forse possibile che i cittadini di Gaza riescano a condurre una vita degna di essere vissuta.

Daniele Sher, Cecilia Cohen Hemsi, Miriam Di Segni, Simon Silvio Fargion, Angela Polacco, Beniamino Lazar, Renzo Cesana, Tamara Kienwald Cesana, Vito Anav, Nora Ortona, Giacomo Zippel, Deborah Fait, Gideon Arjeh Wohlgemuth, Beki Braha, Marina Norsi, Joe Shammah, Davide Nizza, Ester Bianca Amiras, Raffaele Picciotto, Giulia Della Seta, Alessandra Waldman, Sergio Del Monte, Renata Buzzi, Alessia Menasci, Alessia Habib Moscati, Samuele Giannetti, Crescenzo Di Castro, Yael Di Castro, Letizia Di Castro, Angelo Di Castro, Grazia Golan, Ariela Di Castro.

Di seguito il testo della lettera aperta pubblicata da MicroMega

Nel prossimo maggio lo Stato d’Israele compirà 70 anni. Se per molti ebrei la memoria del maggio ‘48 sarà quella di una rinascita portentosa dopo la Shoà e un’oppressione subita per molti secoli, i palestinesi vivranno lo stesso passaggio storico ricordando con ira e umiliazione la Nakba, la “catastrofe”: famiglie disperse, esistenze spezzate, proprietà perdute, il tragico inizio dell’esodo di una popolazione civile di oltre settecentomila persone.
Molto problematica è in particolare oggi la situazione di Gerusalemme, città che Israele, dopo averne annesso la parte orientale, celebra come “capitale unita, eterna e indivisibile”. Tale statuto, oltre a non essere riconosciuto dalla stragrande maggioranza dei governi mondiali, secondo i dettami dell’accordo di Oslo del 1993 doveva essere oggetto di negoziati fra le parti in causa. Gerusalemme Est resta quindi, secondo le norme internazionali, una città occupata con i suoi 230.000 ebrei che vi abitano in aperta violazione delle suddette norme.
A rafforzare la pretesa del governo israeliano su Gerusalemme e a infliggere l’ennesima pugnalata al già moribondo processo di pace è calata nel dicembre 2017, come un colpo di maglio, l’iniziativa di Donald Trump di riconoscere ufficialmente la città quale capitale dello Stato d’Israele: una decisione che ne trascura completamente la complessità simbolica, ne ignora la natura molteplice e la condizione giuridica, obliterando l’esistenza dei suoi residenti arabi palestinesi (quasi 350.000, tre quarti dei quali vivono al di sotto della soglia della povertà, privi del diritto di acquistare terreni, costruire o ingrandire le proprie abitazioni – da cui spesso, anzi, vengono scacciati – e di prendere parte alle elezioni in Israele).
L’amministrazione americana ha già annunciato che trasferirà l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme proprio in coincidenza con il 70° “Giorno dell’indipendenza”, una “scelta che” ha commentato il primo ministro Netanyahu lo “trasformerà… in una celebrazione ancora più significativa”.
Ma un’altra iniziativa concorrerà, nelle intenzioni dei suoi organizzatori, a rendere memorabile la ricorrenza: la partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme. A pretesto e giustificazione di questa scelta, la volontà di onorare la memoria di Gino Bartali che ha trovato un posto nel “Giardino dei giusti” di Yad Vashem, nel 2013, grazie alla sua opera di salvataggio – peraltro non così ben documentata – di alcuni ebrei fra il ’43 e il ’44. È invece indubbio il finanziamento che riceverà la RCS insieme alla sua “Gazzetta dello Sport” grazie a tale operazione: 12 milioni di euro, più altri 4 offerti agli organizzatori dal miliardario israelo-canadese Sylvan Adams, presidente onorario del Comitato Grande Partenza Israele che afferma (da “Nena News”, 20 novembre 2017): “Questa storica Grande Partenza della 101esima edizione del Giro ci permetterà di presentare il nostro paese a oltre cento milioni di spettatori tra quelli collegati via televisione e presenti lungo le strade”. E gli fa eco Yariv Levin, ministro del Turismo israeliano: “Come parte di una rivoluzione nel marketing, che vede Israele quale destinazione turistica e per il tempo libero, stiamo portando il Giro d’Italia nel nostro paese”.
Se ne può quindi dedurre che il Giro d’Italia così concepito assecondi l’esigenza israeliana di presentare al pubblico, nazionale e internazionale, una facciata ripulita dalle immagini di violazioni e violenze coniugandola con la ricerca di RCS Sport di capitali e di una visibilità che immetta decisamente anche il ciclismo nel sistema di affari in cui il profitto detta le scelte e le agende dello sport.
A proposito di agende, in quella della prevista kermesse gerosolimitana figura, dal 13 al 15 maggio, la “Marcia delle nazioni: dall’Olocausto alla nuova vita”. Stando al testo del programma [http://http.//mon2018.com/], si prevede che si raccolgano a Gerusalemme migliaia di cristiani provenienti da tutti i paesi per prendere parte a un convegno speciale. “Insieme con israeliani di ogni segmento della società, le masse dei credenti in Cristo marceranno dalla Knesset al Monte Zion e recheranno onore ai sopravvissuti dell’Olocausto, dimostrando pubblicamente che le nazioni si ergono a fianco d’Israele per dire ‘No!’ all’antisemitismo.”
Infine, ciliegina sulla torta, è del 16 marzo la notizia che la Commissione giustizia della Knesset sottoporrà, nelle prossime settimane, al parlamento un pacchetto di leggi che trasformano definitivamente Israele in uno “stato ebraico”, abolendo così una volta per tutte la tanto fastidiosa parola “democratico” dal suo statuto e facendo in tal modo, finalmente, “chiarezza” sulla propria natura: sempre, è ovvio, per festeggiare il 70° anniversario (vedi a questo link [https://www.jonathan-cook.net/2018-03-16/israel-jewish- nation-state-bill/]). Tale passaggio sancirà, ancora definitivamente, l’esclusione dai diritti dei non ebrei residenti in Israele e faciliterà alle istituzioni preposte il compito di sbarazzarsi innanzitutto dei palestinesi ma anche degli immigrati non graditi.
Legittimando e rendendo irreversibile l’annessione di Gerusalemme Est e l’occupazione della Cisgiordania, l’intera operazione intorno al 70° anniversario della nascita d’Israele viola la legge internazionale e affossa forse definitivamente il processo di pace.
In quanto ebrei, consideriamo tale operazione un vulnus ai valori di giustizia e di ricerca della pace su cui si fonda la parte migliore della nostra tradizione. Ci rivolgiamo quindi a coloro che hanno ancora a cuore tali valori perché respingano un’operazione così dannosa per gli ebrei e tanta parte di umanità, chiedendo a ciascuno, con un atto di responsabilità personale, di sottoscrivere la nostra denuncia.

Bruno Segre, Susanna Sinigaglia, Stefano Sarfati, Anna Farkas, Carla Ortona, Stefania Sinigaglia, Giorgio Forti, Giorgio Canarutto, Joan Haim, Miriam Marino, Paola Canarutto, Sergio Sinigaglia, Marco Ramazzotti, Fabrizio Albert, Marina Ascoli, Guido Ortona, Giovanni Levi, Simona Sermoneta, Shmuel Gertel, Giorgio Segrè, Bruno Osimo, Ester Fano, Renata Sarfati, Irene Albert, Paolo Amati, Dino Levi, Barbara Agostini, Ferruccio Osimo, Lavinia Osimo, Antoine Dubois, Daniel Magrizos, Marina Morpurgo.

(17 luglio 2018)