Ticketless – Lombroso Project

alberto cavaglionUna primizia. Spero di arrivare fra i primi a festeggiare e a complimentarmi cn gli autori. Da poche ore l’archivio di Cesare Lombrso è visibile sul sito www.lombrosoproject.unito.it Invito i miei quattro lettori ad una escursione estiva, anche perché la pagina di copertina è dedicata al carteggio con Theodor Herzl, argomento di ricerca questo su cui da tempo lavora Emanuele D’Antonio, responsabile delle ricerche archivistiche di questo progetto. Mi piace qui associare il suo nome all’opera pionieristica avviata da Delia Frigessi. Si rende finalmente giustizia al genio sregolato, ma fecondo di uno scienziato inquieto, vicino agli umili e ai derelitti, cultore di scritture anomale, fuorilegge della ricerca, bene ancorato ai valori della borghesia ottocentesca. Un lavoro che fa onore all’Università di Torino, che lo ha promosso (anche con l’ausilio della Fondazione Beni Culturali Ebraici e degli archivi centrali del sionismo a Gerusalemme) e al Museo Cesare Lombroso che lo ha realizzato. Il Museo, sia detto di sfuggita, è un prezioso gioiello turistico che, purtroppo, fatica a incunearsi fra gli altri tesori cittadini. I reperti lombrosiani non hanno infatti nulla da invidiare ai reperti egizi del Museo per antonomasia.
Per puro gioco mi sono tuffato nell’oceano andando a vedere il dialogo epistolare di Lombroso con il linguista Graziadio Isaia Ascoli, perché mi interessa il fatto che entrambi fossero studiosi dei gerghi ebraico-italiani (un collaboratore eclettico, Lombroso era affascinato dalle parole ebraiche presenti nel gergo, tramandato dai commessi dei negozi ebraici di tessuti). Ascoli (non a torto) era preoccupato per la vena di follia del suo interlocutore. Lo aveva visto adolescente sulle ginocchia del vecchio patriota chierese David Levi. Nel Taccuino ascoliano si legge che il grande semitista goriziano aveva augurato a Lombroso “più quieti studi”. Vana raccomandazione, che però non impedì ad Ascoli di duellare su tema dei gerghi con quell’enfant prodige, ma anche, più borghesemente, su un tema classico nella vita quotidiana ebraica dell’Ottocento. I matrimoni organizzati. Ad un certo punto, fra una dotta dissertazione e l’altra, Lombroso chiede informazioni sulla famiglia di un ebreo goriziano, «possidente e fabbricatore di spiriti, di pietre cotte e magazziniere di olio» che doveva avere un figlio nubile. Chiede notizie sulle sue condizioni di salute, d’istruzione, patrimoniali e sulla sua abilità commerciale. Chiede infine notizie sull’eventuale presenza di sorelle, sulle virtù e sullo stile di vita della famiglia: «Se la loro vita domestica nell’interno sia sul piede dell’onesta borghesia, (con cameriera?) o più in giù?». Infine si scusa di «caricare di simili baze nojose l’illustre filologo Italiano», ma confida nella sua «gentilezza» pari alla sua «scienza». Per chi ama le “cartevive”, il divertimento è assicurato.

Alberto Cavaglion