Il gioco dell’oca

lotoroNell’ultimo aggiornamento delle biografie contenute nei volumi nn. 4 e 5 del Thesaurus Musicae Concentrationariae risultavano 4.337 biografie di compositori che hanno conosciuto la cattività politica, civile e militare dal 1933 al 1953; in tale numero sono compresi i popoli della grande famiglia Romanès – la musica creata dai Roma in cattività appartiene all’intero popolo – e gli Anonimi ossia persone o gruppi di persone fisiche dei quali non è pervenuta l’identità ma soltanto opere musicali o frammenti di opere create in cattività nel succitato periodo.
In base a calcoli statistici elaborati dalla Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, omettendo strumentisti e cantanti nonché tenendo conto della produzione musicale in cattività prodotta da popolazioni indigene durante la Seconda Guerra Mondiale e nei regimi comunisti post–bellici, i musicisti autori di materiale prodotto in cattività dal 1933 al 1953 (compositori, arrangiatori, bandleader, parodisti, autori di musica leggera e altri generi popolari, ecc.) ammontano a un numero che oscilla tra 100.000 e 120.000.
Screen Shot 2018-07-25 at 15.41.26È un dato impressionante, che rende l’idea non soltanto del lavoro da compiere ma altresì del poderoso lavoro storiografico, musicologico e documentaristico sino a oggi compiuto da Alexander Kulisiewicz, Schmerke Kaczerginski, Bret Werb, Guido Fackler, Eric Levy e pochi altri.
Sinceramente, preoccupa il vuoto cosmico del sostegno finanziario alla ricerca musicale concentrazionaria; stiamo fortunatamente recuperando il tempo perduto e la costruzione della Cittadella della Musica Concentrazionaria di Barletta colmerà magistralmente il gap storico.
Tuttavia restano molte domande irrisolte e un grande rammarico.
Il rammarico è che si potevano risparmiare a questa letteratura musicale almeno 50 anni di ritardo; se è vero che – parafrasando Gustav Mahler – la memoria non è adorazione delle ceneri bensì alimentazione del fuoco, la nostra generazione è ormai a una svolta.
La pressoché quotidiana scoperta di nuove opere scritte in cattività ci mette tutti in gioco ponendoci dinanzi a una delle più importanti conquiste dell’ingegno umano.
Eduardo Di Capua scrisse la canzone napoletana per eccellenza ‘O sole mio non sul Lungomare partenopeo ma su un belvedere di Odessa [Crimea] mentre Georges Bizet (nella foto) suonava integralmente al pianoforte la sua opera Carmen senza alcuna esitazione prima ancora di aver scritto una sola nota in partitura.
Che significa ciò?
Significa che nell’arte musicale nulla è al suo posto e le logiche partono quasi sempre da un assurdo; tornando alla musica concentrazionaria, chi ha scritto a Praga i suoi ultimi fogli di musica li ha successivamente nascosti a Leningrado (oggi San Pietroburgo), chi ha scritto quaderni musicali a Westerbork li ha lasciati a Bergen–Belsen, chi ha creato canti sul treno da Salonicco ad Auschwitz–Birkenau ha poi trasmesso oralmente le melodie nel Lager a qualcuno che dopo la Guerra è emigrato a Sao Paulo, chi creò musica durante la costruzione della Death Railway presso il Campo giapponese di Kanchanaburi (Thailandia) si è portato con sé i diari musicali e oggi vive a Leigh o Breighton (Gran Bretagna).
Come un magnifico gioco di puzzle misto a quello del gioco dell’oca, stiamo rimettendo ogni tassello musicale al proprio posto, completando spazi pentagrammi incompleti, ricucendo luoghi di cattività a luoghi d’origine e ritorno, incastrando frammenti con la medesima pazienza dei Rotoli di Qumran ma con il rischio di tornare alla base se qualcosa va storto.
Vale la pena correre questo rischio.

Francesco Lotoro

(25 luglio 2018)