Scrittori che scrivono di scrittori

Anna SegrePer non portare in spiaggia e non rischiare di rovinare un libro preso in prestito dalla biblioteca della Comunità ne ho acquistato un altro su una bancarella; così mi sono ritrovata un po’ per caso a leggere in parallelo Chiacchiere di bottega di Philip Roth e I racconti di Nené di Andrea Camilleri, due libri certamente molto diversi ma con un elemento essenziale in comune: entrambi sono testi di scrittori che raccontano di altri scrittori. L’intento del libro e lo stile sono ben diversi: quelli di Roth sono ritratti approfonditi, che accompagnano riflessioni raffinate e analisi complesse, quelli di Camilleri, nati inizialmente come interviste per la Rai, sono brevi racconti (due o tre pagine) scritti in tono volutamente lieve e ricchi di aneddoti. Tuttavia gli elementi in comune non mancano. Leggendo entrambi ho provato la vertigine di vedere uno scrittore che diventa personaggio, un autore narrato con le parole di un altro autore. In entrambi i casi mi ha sorpresa e incuriosita il fatto che lo scrittore avesse avuto occasione di conoscere di persona così tanti altri scrittori importanti, e ho provato un certo gusto forse un po’ pettegolo nello scoprire le circostanze e i dettagli dei loro incontri. Entrambi gli autori descrivono in modo magistrale il proprio mondo, e io mi sono scoperta a domandarmi un po’ oziosamente a quale dei due mondi mi sento più vicina.
Non posso parlare di barriere linguistiche che mi separano maggiormente dall’uno o dall’altro perché ho letto entrambi gli autori in lingua originale anche se in entrambi i casi ho fatto una certa fatica (ma questo non vale né per Chiacchiere di bottega – che ho appunto preso in prestito nella biblioteca della Comunità dove naturalmente si trova in traduzione – né per I racconti di Nené che è scritto in un italiano quasi privo di espressioni dialettali). A rigor di logica, da insegnante di italiano, dovrei forse sentire più vicino Camilleri che parla di autori italiani, eppure è Roth quello che arriva materialmente dalle mie parti narrando l’incontro – avvenuto nella mia città – con Primo Levi, l’unico tra tutti gli scrittori narrati nei due libri che anche io ho avuto occasione di conoscere di persona (peraltro ricordando questa circostanza mi sono un po’ ritrovata nel modo in cui Camilleri descrive il proprio fugace incontro con l’illustre concittadino Pirandello). E ovviamente il senso di vicinanza non è dato solo dall’esordio torinese di Chiacchiere di bottega: in tutto il libro Roth parla da ebreo, spesso con autori ebrei, di autori ebrei (moltissimo di Kafka e di Bruno Schulz) e di identità ebraica, che emerge chiaramente anche nel confronto con scrittori non ebrei (per esempio lo scambio di lettere un po’ piccato con Mary McCarthy mi ha fatto tornare in mente certe mie discussioni con amici e colleghi). Un’identità ebraica dichiarata con decisione e analizzata da molti punti di vista.
Per fortuna, al di là di un ozioso gioco da spiaggia, l’identità italiana e quella ebraica non hanno alcuna necessità di essere messe in contrapposizione, così come si possono leggere due libri in parallelo uno alla mattina e uno alla sera.

Anna Segre, insegnante