…tifo
Povera Italia. Si continua a vivere ancora in un clima di tifo da stadio, quello della peggior specie, urlato e volgare.
Una capotreno, giustamente stufa di rom senza biglietto che molestano i viaggiatori, ingiustamente insulta i molestatori etichettandoli per la loro appartenenza etnica. È un genere di generalizzazione a cui siamo abituati in questa nostra epoca di razzismo montante. La capotreno, ed è un mio parere personale, ha agito d’impulso, certamente tirata per i capelli della sua esperienza quotidiana, ma l’insulto che le è uscito dalle labbra non si addice affatto a nessun comune mortale dotato di minima intelligenza e sensibilità, e tanto meno si addice a un pubblico ufficiale.
Ciò che poi ne è scaturito, e ne sta ogni giorno scaturendo, è una battaglia tra garantisti ideologici, che prendono le parti dei disturbatori di professione che sui treni fanno i loro comodi e ti tiranneggiano (penso anche a qualche frequente tagliaborse che sui mezzi pubblici – treni, metro o vaporetti – ti si addossano per alleggerirti del portamonete o del telefonino) e discriminazionisti ideologici, che difendono invece a spada tratta la reazione scomposta della capotreno, come se si fosse erta a difensora dei confini patri. Fra questi ultimi, il nostro ministro degli Interni.
E siamo alle solite. È iniziato il tifo da stadio. Ma non siamo allo stadio. Siamo ormai ai limiti estremi della ragionevolezza e della civiltà, con nessuno che ammetta che la capotreno aveva ragione, ma ha sbagliato, e che i molestatori devono essere perseguiti se sbagliano, ma civiltà vuole che non si trascenda con le offese per non abituarci tutti a vivere in un mondo che sta diventando ogni giorno di più una giungla.
Da un ministro degli Interni, allora, ci si aspetterebbe che provvedesse a far intensificare i controlli di pubblica sicurezza sui mezzi pubblici, anziché fomentare sentimenti di odio razzista, perché così insofferenza e violenza contro i diversi non possono che dare i loro malefici frutti. E non possiamo pensare che questo sia l’intento del nostro ministro degli Interni e della sua parte politica.
Dai garantisti, peraltro, ci si aspetterebbe che riconoscessero che un minimo di legalità fa bene alla società, e che il non assicurarla dà motivo agli ideologi dell’ordine di invocare maggiore autoritarismo.
Due demagogie di segno opposto, entrambe dannose, come stiamo vedendo da un po’ di tempo a questa parte.
Non mi sento un buonista e non mi sento un cattivista. Sono tutt’al più un cerchiobottista, e non mi dispiace affatto autodenunciarmi. Vorrei solo che potessimo continuare a sentirci dotati di ragionevole raziocinio, per tenere lontano, gli uni e gli altri, lo spirito torrido e afoso della giungla.
Dario Calimani, Università di Venezia