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Rosh ha shanà 1937

alberto cavaglionL’articolo di Angelo Piattelli, Il messaggio dei Rabbini d’Italia del settembre 1937, uscito sull’ultimo numero (1, 2018) di «Mondo contemporaneo» è fra le cose più interessanti che ho letto in quest’anno di commemorazioni delle leggi razziali. L’atteggiamento dei Rabbini di fronte al fascismo è un campo di ricerca non molto esplorato. Piattelli ci offre con perizia di filologo l’edizione critica di un documento importante, frutto di un lavoro corale (Castelbolognesi, Disegni, Alfredo Toaff), coordinato da una figura poco nota al pubblico degli studiosi, David Prato. Varianti, tagli, correzioni dell’ultimo minuto testimoniano l’importanza che i firmatari attribuivano all’appello. Di fronte a lacerazioni gravissime, i rabbini cercavano un equilibrio di saggezza, prendendo le distanze sia dal filofascismo dei «bandieristi» sia dal sionismo. Purtroppo il richiamo alla Legge e alla narrazione biblica non potrà sortire effetto, per la semplice ragione che giungeva tardi, troppo tardi. Viene spontaneo chiedersi perché quel grido di dolore non si levò negli anni di consolidamento del regime. È una amara verità, che dovrà servire di lezione per il futuro: difendere la dignità dell’ebraismo senza fare i conti con la politica che ci circonda è un rischio da non correre. Quando l’appello iniziò a circolare ad ascoltarne la voce rimasero le persone semplici, inesperte di politica, la cui vita dodici mesi più tardi risulterà sconvolta dall’apparizione dell’inatteso. Non ascolteranno quell’appello gli ebrei sionisti, già partiti o in procinto di partire. Non lo ascolteranno soprattutto gli ebrei antifascisti, che da anni avevano deciso di soddisfare la propria sete di libertà alla fonte di Maestri non ebrei.

Alberto Cavaglion

(15 agosto 2018)