Terza età

Tobia ZeviL’estate si presta a discorsi generici e proposte strampalate. Il che ben si sposa con l’atteggiamento di un governo che predica il cambiamento ma per il momento produce soprattutto propaganda. Tuttavia, ogni occasione è buona per ragionare, anche quelle più estemporanee. Penso, per esempio, alla proposta della Lega che riguarda lo spostamento dei pensionati al Sud d’Italia: se capisco, un incentivo fiscale agli anziani che al Nord se la passano male, con l’obiettivo di ripopolare porzioni del territorio nazionale sempre più deserte.
L’idea è molto interessante, e infatti si è meritata persino un articolo di Romano Prodi, uno che di economia qualcosa capisce. Ed è ispirata a realtà note: il Portogallo, prima di tutto, ma anche alcuni paesi nordafricani. Un numero sempre più alto di pensionati italiani vi si trasferisce attratto dal clima e dalla bellezza del paese, certamente, ma anche dalle agevolazioni fiscali e dai servizi per la terza età.
Prodi sottolinea alcuni aspetti fondamentali: i controlli dovrebbero essere severi, nel senso che il trasloco deve essere effettivo e non trasformarsi in una forma di elusione fiscale legalizzata; i servizi, a partire dalla sanità pubblica che per gli anziani è ovviamente decisiva, dovrebbero svilupparsi insieme alla misura, visto che nessuno si trasferirebbe mai dove gli ospedali non funzionano; non ha senso privilegiare i piccoli borghi, perché nella terza età si ha bisogno di socialità (pure nelle altre, a dire il vero!), e dunque la dimensione urbana potrebbe rivelarsi più adatta (pensiamo alle meravigliose città del Sud: Palermo, Catania, Siracusa, Bari, Napoli ecc.).
Comunque la discussione è utile, e bene ha fatto il Governo a sollevarla anche per affinarla. Com’è noto, la sfida dell’invecchiamento generale è tra le principali che la nostra società si trova ad affrontare: sistema pensionistico, sanità e costi a essi connessi, ma anche una grande domanda socio-culturale, cioè come attribuire valore a una fase della vita che è sempre più lunga e deve essere per questo progettata.
In linea generale, mi ha sempre colpito un fatto che considero contraddittorio: oggi, in Italia, si considera preferibile invecchiare e poi morire nella propria casa. La “casa di riposo” (e nell’Italia ebraica ce ne sono per fortuna di eccellenti) è ritenuta un’extrema ratio, motivata con esigenze famigliari, sanitarie o economiche. Non è così dappertutto: mi è capitato di visitare negli USA delle vere e proprie città per anziani, con tanto di ristoranti, cinema, quartieri ecc. Questa percezione nostrana produce una stortura: più si è ricchi, nell’Italia di oggi, più si muore da soli. Si assume una badante (sommando così solitudine a solitudine), e progressivamente si esce sempre meno di casa, mentre paradossalmente chi non è in condizione di pagare una persona è più tentato di uscire, incontrare, frequentare un centro anziani. Ecco, io penso che ogni proposta in questo ambito sia da discutere, purché basata sul principio che la vecchiaia è un momento fondamentale dell’esistenza, e che quindi non può prescindere dall’incontro coi propri coetanei e anche con i più giovani.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

(28 agosto 2018)