NARRATIVA Nelle lettere di Ester c’è la sete di conoscenza che porta alla libertà
Rachel Kadish / IL PESO DELL’INCHIOSTRO / Neri Pozza
Una vertigine lunga cinque secoli. Un salto nel tempo che porta nel giro di poche pagine dall’inizio del XXI secolo agli anni della peste, tra Londra, Amsterdam e il deserto del Sinai. Difficile immaginarlo dal titolo o dalla copertina blu incorniciata da un delicato motivo floreale dorato, ma Il peso dell’inchiostro, l’ultima opera di Rachel Kadish, pubblicata in Italia da Neri Pozza, è qualcosa di indefinibile, all’incrocio tra giallo, saggio storico e romanzo di iniziazione.
Difficile anche dire se protagonista è Helen Watt, studiosa di storia ebraica vicina alla pensione, in lotta con l’accademia e con le sue dinamiche politiche e di potere, oppure “aleph”, il misterioso scrivano che assiste il rabbino HaCoen Mendes, privato della vista dall’Inquisizione e si firma solo con la prima lettera dell’alfabeto ebraico.
Ebraico, portoghese, carte vecchie di secoli pronte a disfarsi nelle mani degli studiosi, e rivalità accademiche si mescolano ai ricordi di un grande amore del passato da parte della professoressa e al presente del di lei assistente, Aaron Levy, giovane ebreo americano a disagio con la severa professoressa.
Anziana e pallida, curva sul suo bastone, fasciata da un tailleur fuori moda, Watt ha molta più forza e molta più determinazione di quanto il suo aspetto potrebbe far credere, nonostante la malattia che la consuma, e procedendo nella lettura si scopre anche come è nata la sua passione per la Storia. E perché.
Mentre lei diventa più forte, col trascorrere delle pagine Levy invece crolla, è obbligato a rimettersi in discussione, ad accettare sia il peso del fallimento delle sue ricerche che il peso e la complessità di questa nuova indagine.
Mentre i due si fanno detective per riuscire a carpire qualche informazione in più dagli antichi scritti, le pagine di Rachel Kadish sono anche un inno all’importanza della scrittura, alla libertà che ci viene donata dalla possibilità di parlare, di mettere su carta i pensieri. La scrittura è forza, ma è anche pericolo, soprattutto per chi scrive, ma anche per chi solo legge, è potenza. Ma a volte serve coraggio anche solo per prendere in mano il pennino.
O per digitare sulla tastiera del portatile un pensiero che interrompe il lavoro di ricerca, come succede al giovane americano: “Penso che se guardassimo le cose attraverso gli occhi della Storia, vivremmo in modo diverso. Vivremmo in modo giusto”. La risposta, implacabile, arriva dall’altra sponda del Mediterraneo, dove Marisa, nipote di sopravvissuti alla Shoah, scrive: “Se guardassi con gli occhi della Storia, non vorrei più vivere”.
Dalle persecuzioni antiebraiche, alla nascita della comunità londinese nel 1600, dal ruolo della donna ai diversi aspetti della vita accademica fino a discussioni filosofiche su Dio e sulla natura, le quasi settecento pagine non sono certo parche di argomenti. Compaiono Spinoza e Thomas Hobbes, il messianesimo di e la malattia, e c’è spazio anche per una storia d’amore. Anzi, per più di una storia d’amore: da quella contrastata e complessa della nonna del misterioso “aleph”, creatura ribelle e bellissima a quella impensabile dell’anziana professore, a Aron Levy, che si perde e forse si ritrova, per tornare al Seicento, con le nobildonne alla scoperta del teatro e soprattutto degli attori, e un giovane omosessuale che per punizione viene mandato sino al Nuovo Mondo per poter più avanti tornare e vivere il suo amore protetto da un matrimonio combinato che è una benedizione per più persone. Ebraismo sefardita e rigore inglese, intrighi e passione per lo studio. Femminismo ante litteram, e un tenace attaccamento alla vita e alla conoscenza animano le pagine de Il peso dell’inchiostro, dove tra altre storie e dopo centinaia di pagine si inizia a capire Aleph, che scrive: “Che mi sia concesso cominciare di nuovo. Questa volta per dire la verità. Forse”.
Ada Treves, La Stampa ttL, 14 agosto 2018