Machshevet Israel – Legge e religione,
i significati della parola ‘dat’

Cosimo Nicolini CoenSulla falsariga di Wittgenstein è possibile sostenere che il significato di un’espressione, di una parola, non consista in un’ “atmosfera che la parola ha con sé e che si porta dietro in ogni sorta d’impiego” (Ricerche Filosofiche, § 117) bensì nel consolidarsi di una prassi – di un modo d’uso della parola in questione – tale da permettere la mutua comprensione e, in tale maniera, l’emergere di qualcosa come il o un significato. Tale chiave di lettura sembrerebbe render ragione dell’evoluzione di significato che ha subito il termine ‘dat’. Come spiega Abraham Melamed – docente di pensiero ebraico alla Haifa University – in Dat: mehok le’emuna (Dat: da legge a fede, 2014) la parola persiana ‘dat’ fa il suo ingresso, nella Meghilat Ester, con il significato di ‘statuto’, ossia legge emanata da un’autorità civile, per acquisire, nell’epoca contemporanea, il significato di ‘religione’. Sarebbe dunque un vero e proprio anacronismo voler sempre e comunque – ossia a prescindere da un’analisi dei modi d’uso –tradurre ‘dat’ con ‘religione’. In effetti se il termine rimane invariato i suoi significati possono trovarsi tra loro addirittura in una posizione di antitesi. Mentre, scrive Melamed, un dizionario moderno (R. Alcalay) definisce la parola ‘dat’ come “fede in Dio, insegnamento e precetti stabiliti per coloro che aderiscono a tale fede”, in alcuni frangenti del medioevo alla stessa parola era attribuito il significato esclusivo di legge secolare, in aperta antitesi alla nozione di Matan Torah. Tuttavia a uno sguardo complessivo, che senza celare le differenze si domandi dell’esistenza di un filo conduttore che attraversi i diversi modi d’uso, apparirà come sia nell’attribuzione alla parola ‘dat’ dell’accezione prossima a ‘legge’ (statuto, decreto) sia di quella prossima a ‘religione’ (credenza, fede), rimane invariata la presenza dell’aspetto prescrittivo – come testimonia il fatto che chi è ‘dati’ è, con ciò, shomer mizvot. La differenza è nell’ordine gerarchico come Melamed nota a partire dalla definizione di ‘dat’ fornita da Yosef Albo (Sefer A-ikkarim). Per Albo la parola “dat” designa ‘legge’ nel suo “significato generale e universale”, facendo così discendere tanto l’esistenza di una ‘dat’, di una legge, attinente il Matan Torah quanto di una ‘dat’ emanata da un sovrano o una ‘dat’ corrispondente al diritto consuetudinario. Viceversa nella definizione contemporanea la parola ‘dat’, designando ‘religione’, ‘credenza’, include solo come suo corollario le prescrizioni di quella data credenza – nel caso dell’ebraismo le mizvot. Restando aderenti alla prassi linguistica, e quindi al contesto intellettuale, si ha modo di verificare l’idea wittgensteniana per cui il significato della parola ‘dat’ fa parte di un processo più ampio, dai confini mobili. Tuttavia, quando si osservano i margini di spostamento di questi confini, i limiti che si trovano costretti a rispettare, ci si scontra con un’invariante di significato, l’aspetto prescrittivo. Forse, sulla scorta di Yosef Albo, è allora possibile riconoscere nei differenti significati acquisiti dalla parola ‘dat’ delle differenze di specie di un concetto, quello di prescrizione, e di una categoria, quella del dover essere, tipici del pensiero e dell’azione dell’uomo.

Cosimo Nicolini Coen