Società – Il virus dell’intolleranza

Un parrucchiere di Roma, particolarmente loquace, conversa con le clienti. «A me piace Matteo Salvini e poi, vi confesso, in fondo sono sempre stato razzista». Davanti allo sguardo sorpreso di chi ascolta, l’uomo continua a lavorare all’acconciatura come se avesse detto la cosa più banale del mondo. A oltre 600 km di distanza, in un ristorante vicino a Belluno un imprenditore locale spiega ai commensali: «Sono in disaccordo su tutto con questo governo, tranne su un tema, i migranti, perché violentano le nostre donne, ci costano tanti soldi e generano ogni sorta di malaffare». Fra i presenti c’è chi obietta che in realtà molti migranti vengono impiegati in lavori che gli italiani non vogliono più fare ma l’imprenditore è perentorio: «Ne abbiamo troppi». Courmayeur è in un altro angolo di Italia, la piazzetta nella zona pedonale è un luogo di incontri ed un quarantenne in vacanza pone pubblicamente il dubbio se non ci sia «il mondialismo» all’origine «di tutti i nostri problemi» perché «il multiculturalismo oramai è fallito». In un Autogrill vicino Bologna due giovani davanti ad un caffè descrivono i migranti in arrivo dal Nordafrica: «Altro che poveretti denutriti, hai visto che muscoli?». Questi episodi, tutti avvenuti nelle ultime settimane, sono la cartina di tornasole di un sentimento pubblico crescente e lasciano intendere che i demoni stanno tornando fra noi. L’avversione per il prossimo è il più pericoloso dei virus perché annebbia la mente, trasforma la conoscenza in un avversario e conduce su una strada disseminata di conflitti, dunque senza uscita. L’antidoto più efficace contro questo demone è la forza della ragione: il razzismo ha causato nel Novecento 60 milioni di morti e la distruzione dell’Europa, perché resuscitarlo?
Le nazioni più prospere del Pianeta sono state create negli ultimi duecento anni con il contributo vitale degli immigrati, perché rigettarli? L’avversione al «mondialismo» nasce dalla narrativa totalitaria favorevole alla chiusura ermetica delle società, può essere questo l’orizzonte della generazione Erasmus? Quando la ragione si offusca è l’intolleranza che si fa largo, accompagnandosi ad una narrativa collettiva imperniata non sulla soluzione dei gravi problemi esistenti ma sull’avversione per nemici sempre più numerosi e pericolosi che nell’odierna versione sovranista-populista italiana sono: l’establishment, l’euro, l’Unione europea, la Francia, la Germania, i migranti, i rom, Confindustria e, come ha affermato il vicepremier Luigi Di Maio il 6 agosto al Senato, il «Dio mercato» contrapposto alla «dignità dell’individuo». Altri, prima o poi, seguiranno. Ma quando sono gli avversari a definire cosa siamo, dobbiamo chiederci chi siamo. Prendere atto del risveglio dei demoni dell’intolleranza significa chiedersi da dove vengono. L’avversione per chiunque identifichiamo come diverso è congenita ad ogni gruppo nazionale, etnico, tribale, dunque è presente anche in casa nostra ma dopo le devastazioni del Novecento la consideravamo sepolta, inghiottita dall’abisso, invece adesso riemerge con prepotenza. Appare incontenibile, accompagnata dalla costante ricerca dei nemici più diversi. La risposta al perché del ritorno dei demoni è da rintracciarsi nella somma di diseguaglianze economiche, timori per i migranti, corruzione, burocrazia e infrastrutture fatiscenti che alimentano l’insicurezza collettiva, allontanano i cittadini dalle istituzioni democratiche e minano il legame con i valori della Repubblica declinati nella Costituzione. Se una moltitudine di italiani il 4 marzo scorso ha votato per Movimento Cinque Stelle e Lega è stato proprio per chiedere sicurezza davanti ad una molteplicità di fattori che aggrediscono la vita delle famiglie e a cui i partiti tradizionali non sono riusciti a dare risposte convincenti. La sfida dunque, per la coalizione giallo-verde, è tentare di elaborare risposte strategiche a tali emergenze sfruttando il consenso popolare per varare le riforme necessarie al nostro Paese: un nuovo modello economico per battere le diseguaglianze, l’integrazione dei migranti per farne un motore della crescita, la rigida applicazione della legge per proteggere le famiglie, investimenti per le infrastrutture e lotta senza quartiere alla corruzione. Se intraprenderà la strada delle riforme il governo si guadagnerà sul campo il merito di aver dato un nuovo orizzonte al nostro Paese, se invece preferirà scagliarsi contro nemici vicini e lontani si assumerà la responsabilità del ritorno dei demoni. Il bivio è fra la scommessa su un futuro migliore e il ritorno al passato più buio. Fra fedeltà alla Costituzione e rincorsa degli istinti più pericolosi che albergano in ognuno di noi.

Maurizio Molinari, La Stampa, 2 settembre 2018