…volti
Secondo Marco Polo i cinesi, quanto a tratti somatici, si assomigliano tutti. Lo stesso vale per gli abitanti dei Caraibi descritti qualche secolo più tardi da Cristoforo Colombo. E c’è da scommettere che non avrebbero detto qualcosa di diverso degli europei gli abitanti dell’Africa Nera in età moderna, se solo fossero stati intervistati. Di sicuro, d’altronde, questa nei confronti degli europei è stata opinione per secoli diffusa in Cina.
Non sarà forse indispensabile, per evitare simili pregiudizi che oggi fanno perfino sorridere, cercare di scorgere non la folla degli “altri” ma i singoli volti nella folla? È quello che alcuni film fuori dall’ordinario fanno. Come dimenticare, nella “Corazzata Potëmkin”, la telecamera che stringe sull’occhio della madre colpita sulla scalina di Odessa e la carrozzina che, non più guidata, corre giù giù fino a rovesciarsi? Oppure la bambina vestita di un cappotto rosso e, più tardi, il cappotto lacero e abbandonato in “Schindler’s List”? I senza volto sono come i senza nome: circondati da quella indifferenza contro cui spesso, anche recentemente, ha messo in guardia la senatrice a vita Liliana Segre. È la medesima indifferenza di fronte ai migranti e ai deboli che oggi non può essere accettata, alla quale non abbiamo il diritto di abituarci. Vedere volti dove uno sguardo superficiale vede una folla amorfa significa adottare un principio di individuazione che è anche, essenzialmente, principio di umanità. Se ci pensiamo bene, è lo stesso principio posto a fondamento del Memoriale della Shoah a Gerusalemme, Yad Vashem: una mano per milioni di mani, un nome per milioni di nomi.
Giorgio Berruto