Periscopio – Famiglia felice

lucreziIn occasione del mio ultimo viaggio di studio e di piacere in Israele, nell’ultima settimana di agosto, ho avuto, come e più delle volte precedenti, la grande gioia di trascorrere molte ore con i miei diversi carissimi amici israeliani, ad alcuni dei quali mi lega ormai un’amicizia di diversi decenni. Considero un vero privilegio avere tanti legami personali, così profondi e sinceri, in quel Paese a cui mi sento tanto legato. E sono proprio queste persone, le loro famiglie, le loro storie a farmi guardare a quella terra, prima che come a un luogo, come a una viva comunità di esseri umani, ognuno dei quali portatore di uno specifico bagaglio di affetti, idee, ricordi, progetti, gioie e dolori. Israele è un giardino di fiori colorati, ognuno dei quali diverso da tutti gli altri. Sono tornato, da questo bagno di umanità, carico di gratitudine, di emozione e di pienezza. E anche di un po’ di tristezza, per i problemi personali di qualche amico, a me particolarmente caro. La vita è così.
Se, intorno ai confini di Israele, continuano a incombere serie e temibili minacce, e se il rapporto dello Stato ebraico con il resto del mondo rimane alquanto difficile e critico, non c’è dubbio che, all’interno, il Paese paia godere di un momento particolarmente favorevole. L’economia va a gonfie vele, lo shekel si è molto rafforzato (e gli Italkìm che ricevono là stipendi e pensioni in euro ne pagano, purtroppo, le conseguenze), i progressi scientifici e tecnologici si susseguono senza sosta, la creatività, in tutte le forme artistiche, fornisce risultati mirabili, il turismo è incessante. Davvero, toccando ferro, e sperando che duri, una stagione d’oro.
C’è tuttavia, in tanta meritata fortuna, un elemento d’ombra, che consiste, secondo me, in una spaccatura, particolarmente profonda e dolorosa, dell’opinione pubblica, sul piano delle opzioni politiche. Intendiamoci, il vivo e acceso dibattito politico interno, con posizioni fortemente radicalizzate e contrapposte, ha sempre contraddistinto, fin da prima della fondazione dello Stato, la società israeliana, da sempre segnata da un’estrema varietà e molteplicità di pensiero, in linea col noto detto “due ebrei, tre opinioni”. Non è quindi, tale vivacità e asperità dialettica, una cosa nuova. Quella che mi pare, forse, una novità, e non positiva, è il fatto che oggi, a essere oggetto di forte controversia, siano non solo le singole e specifiche opzioni politiche di questo o quel governo, ma la stessa idea del progetto sionista, la considerazione di cosa Israele voglia essere, restare o diventare. L’estrema divaricazione dei giudizi sul governo in carica – esaltato da alcuni, detestato da altri -, in questo senso, mi pare esprimere qualcosa di più profondo e preoccupante di una semplice disputa politica: una forma di malessere, di incomunicabilità tra i membri di una stessa famiglia. Ma forse bisogna non essere israeliani, non vivere in Israele per percepire fino in fondo questa realtà, ossia che Israele è, e deve restare, una famiglia.
Nel condividere le nobili parole formulate, in occasione del capodanno ebraico, dal Presidente Rivlin, che ha invitato i suoi concittadini a tenere presenti, prima degli elementi di divisione, quelli di unione, faccio una piccola annotazione personale. Quasi tutti i miei amici, a un certo punto delle conversazioni, delle cene, degli scherzi, mostravano con orgoglio, dai loro cellulari, le fotografie dei loro figli o nipoti in servizio nell’esercito. E il loro orgoglio era anche il mio. Questi padri, queste madri, questi nonni affermavano con forza il loro considerarsi di destra, o di sinistra, a favore o contro l’attuale governo d’Israele. Ma, nel mostrare le foto di figli e nipoti, diventavano tutti assolutamente identici, e nessuno ha mai detto come suo figlio, o nipote, la pensi politicamente. Sarebbe apparsa una nota stonata.
Israele è questo: l’abnegazione di questi figli e nipoti (che difendono anche noi europei, anche se nessuno pare rendersene conto), l’orgoglio di questi genitori e questi nonni, le discussioni e i bisticci di una famiglia nella quale, probabilmente, si continuerà sempre a litigare, ma che, in ogni caso, non si separerà mai. Anche perché quei figli, quei nipoti rappresentano un collante d’acciaio.
Shanà tovà, famiglia felice e litigiosa.

Francesco Lucrezi

(12 settembre 2018)