Fichi e Teshuvà
Bene, penso, mentre mi aggiro freneticamente tra un supermercato, un negozio di frutta e verdura che ha (a torto, ahimè) la fama di vendere di tutto, ed un secondo supermercato. L’anno scorso ero a caccia di melograni, ora di datteri e fichi secchi. Neppure la saggezza popolare del ‘fare le nozze coi fichi secchi’ evidentemente è valida, che i fichi secchi siano diventati un prodotto di nicchia, da vegetarian vegani elitari i quali fanno i loro costosissimi acquisti solo in negozi biologici per un pubblico esigente? Le commesse cui mi rivolgo mi guardano, tra perplessità e compatimento come provenissi da un altro pianeta: non tengono fichi e datteri in questo periodo, non si trovano fino ad ottobre novembre, perché sono prodotti in arrivo per il natale. Non replico, so che non è, o perlomeno non era, così: li ho sempre trovati. Ma meglio economizzare le energie e correre al prossimo punto vendita; prima di aver vagolato per tutta la città qualcosa riuscirò a combinare?
Finalmente, eccomi in soccorso un’idea tanto disperata quanto geniale, all’ultimo, chiedere se invece per caso avessero dei fichi freschi… ed eccomi accontentata, con in mano una vaschetta di improbabili frutti mezzi spaccati. Già mi vedo davanti Catone il Censore il quale, scuotendo la testa con il suo fico in mano, mi rammenta la necessità di distruggere Cartagine ed insieme l’improbabilità di far arrivare questi fichi a Rosh HaShanà. Resisteranno, questi frutti della terra d’Israele (forse dall’aspetto che hanno potrebbero aver viaggiato sin da lì), fino al Seder? Ecco un’altra valida ragione nel battibecco coniugale tra il serio ed il faceto, in sostegno delle tradizioni askenazite rispetto a quelle sefardite, annoto mentalmente.
E alla mamma di classe che mi vede con i fichi in mano, volenterosa di capire (alcune sono davvero tanto carine e vogliono informarsi su usi e tradizioni, e dalla fronte corrugata e sguardo intenso capisco la difficoltà di recepire un sunto spiccio di quotidianità ebraica), passando di fico in fico, scivolo sul terreno di cosa sia questo particolarissimo periodo dell’anno. Come spiegarle cosa significhi festeggiare il nuovo inizio ed insieme la creazione dell’uomo entrando negli Yamim Noraim che ci traghettano fino a Kippur, come dirle che per iniziare davvero con gioia bisogna chiudere con il passato, riconoscendo i propri errori, e no, la confessione non esiste come non esiste la colpa, bensì la responsabilità, e che questa vige nei confronti del prossimo prima ancora che del Signore?
Come le spiego la teshuvà? Forse mi può venire in aiuto la chiara sintesi di rav Beniamino Goldstein all’incontro di studio di Yarchè Kallà tenutosi nel giardino della Comunità Ebraica di Firenze lo scorso 6 settembre: non basta guardare agli errori commessi nel passato e a fare il punto su essi, chiedendo perdono nel presente, ma serve un progetto di riparazione per il futuro. Poi se il tempo in avanti manca e la riparazione non sarà compiuta, persino se non riuscirà neppure ad iniziare, qualora il lavoro di riflessione sull’anno trascorso e di ammissione degli sbagli nel presente siano sentiti, e sinceri il pentimento e la volontà di incamminarsi sulla via del ritorno, allora questo potrebbe essere sufficiente ad essere scritti nel libro della vita.
Non resta, le dico, che provare ad allontanare i pensieri malevoli sull’insegnante la quale trova siano ‘un problema’ i bambini che non frequentano l’ora di religione a scuola (e cosa gli si farà fare? Non potrebbero entrare dopo, uscire prima, forse anche cambiare scuola così il ‘problema’ è altrui?). In fondo è anch’ella vittima di un sistema scolastico al collasso dalle risorse sempre più esigue, in cui il balletto di supplenze, docenti provvisori, materie non coperte, è sempre più caotico. Ma, chiede la mamma in questione, non del tutto persuasa, secondo questo pensiero, dovrei forse chiedere scusa alla vicina che mi ha volontariamente investito il cane, per averla insultata e per nutrire pensieri malevoli nei suoi confronti?
Sai, le dico, magari continuiamo il discorso un’altra volta, scusami ma devo cercare di fare arrivare i fichi al frigorifero di casa, prima che sia troppo tardi.
Sara Valentina Di Palma