“1938, una ferita sempre aperta
Costituzione il nostro baluardo”
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“Da Auschwitz non si esce mai. La missione che mi sono posta mi accompagnerà pertanto fin quando avrò le energie necessarie, con una particolare attenzione al mondo della scuola. Senso della storia e valori costituzionali sono il nostro più importante baluardo contro coloro che hanno la forza, ma non la ragione”.
Un lungo applauso della platea saluta le parole della senatrice a vita Liliana Segre, intervenuta stamane con una nuova straordinaria testimonianza su quei giorni, nell’aula Koch di Palazzo Madama, in occasione della presentazione del volume Razza e inGiustizia, curato da Antonella Meniconi e Marcello Pezzetti, che rappresenta il contributo congiunto di Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale Forense e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per una riflessione su legalità e responsabilità nell’80esimo anniversario dalla promulgazione delle Leggi razziste.
Anniversario che, ha esordito la presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, impone l’obbligo morale di fare i conti con la propria storia. “A maggior ragione – spiega – questo vale per i rappresentanti delle istituzioni di questo paese”. Una stringente responsabilità, la chiama: l’obbligo di affiancare all’indignazione e alla condanna legate alla memoria di avvenimenti e di comportamenti intollerabili, il coraggio dello studio, dell’approfondimento, della ricerca”.
Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm, ha parlato di pubblicazione “unica” e “polifonica”. E ciò in ragione della varietà di contributi che hanno coinvolto storici, studiosi, esperti di diritto. “Uno dei momenti più alti e significativi – ha sottolineato – del nostro mandato”.
Andrea Mascherin, presidente del Consiglio Nazionale Forense, ha sottolineato l’urgenza di una riflessione sul presente, a difesa dello Stato di diritto. “Si parla spesso di linguaggio dell’odio, ma – il suo allarme – non ci si sofferma forse a sufficienza sulla sua pericolosità. I segnali purtroppo non sono soltanto degli ultimi quattro, cinque mesi. È qualcosa che sta maturando da tempo e contro il quale dobbiamo reagire”.
Un anniversario, il messaggio della presidente UCEI Noemi Di Segni, “da tenere a mente con molta lucidità, così come teniamo a mente attraverso altri momenti del calendario ebraico i tentativi di annientamento del nostro popolo e della nostra cultura avvenuti nei secoli e nei millenni”. Una Memoria che non deve affievolirsi, “nonostante le grida e le pretese di chi oggi pensa di poter imporne l’oblio”.
A concludere la prima sessione di interventi Esther Hayut, presidente della Corte Suprema di Israele. “La Shoah – ha detto – è un evento senza precedenti nella storia, ma non nasce in uno spazio vuoto. È infatti l’esito di un odio radicato, che nei secoli cambia forma ma che da sempre accompagna le vicende del popolo ebraico. L’odio più antico che esista”. Ad essere ricordata la figura di Guido Tedeschi, cacciato nel ’38 dall’Università di Siena e quindi protagonista delle istituzioni giuridiche israeliane. Per quanto concerne il tradimento subito dagli ebrei italiani con l’entrata in vigore delle Leggi, Hayut ha inoltre invitato alla lettura degli scritti di Primo Levi e Giorgio Bassani. “Tra tanta indifferenza complicità – ha poi aggiunto – voglio ricordare anche i meriti di chi si oppose: tra gli altri il ciclista Gino Bartali, che lo Yad Vashem ha voluto tra i suoi “Giusti”.
Stimolanti anche i contributi della successiva sessione, coordinata dal direttore dell’Ufficio Studi del Csm Piergiorgio Morosini e cui, oltre alla senatrice Liliana Segre, sono intervenuti la curatrice Meniconi e il Presidente emerito della Corte Costituzionale Riccardo Chieppa. Ad essere letto anche un messaggio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ha definito le Leggi antiebraiche “aberranti e “ingiuste”.
Di seguito l’intervento della Presidente UCEI Noemi Di Segni
Cari amici,
Signora Presidente del Senato Alberti Casellati
Signora Presidente della Corte Suprema di Israele Hayut
Signor Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Legnini
Signor Presidente del Consiglio Nazionale Forense Mascherin
Signor Presidente Emerito Chieppa
Cara Senatrice a vita Segre
Cara Prof.ssa Meniconi
Presidente Cer Dureghello
Sono commossa ed onorata di poter prendere parte a questo momento di incontro e di ricordo in occasione della presentazione di questo importante lavoro di ricerca racchiuso nel volume “Razza e inGiustiza”. In una sede che era allora ed oggi luogo di formazione di leggi e di cultura legislativa, assieme a chi oggi ne rafforza e preserva questa funzione con la sua testimonianza.
Sono passati ottant’anni da quando il Parlamento e il Governo di Mussolini emanarono, con tanto di firma del Re Vittorio Emanuele III, le “Leggi per la difesa della razza”. Leggi che discriminavano una parte della popolazione italiana – di antica presenza che numericamente rappresentava appena l’1 per mille ‒ privandola di fatto di ogni capacità giuridica, della cittadinanza e persino del proprio nome. Venivano così annullati i diritti di uguaglianza che un altro Savoia, Carlo Alberto, aveva garantito nel 1848, avviando quel processo di emancipazione degli ebrei in Italia. Ma vorrei precisare – è l’Italia tutta ad essersi impoverita delle sue potenzialità e soprattutto di valori.
Quelle leggi – frutto di una decretazione apparentemente d’urgenza – furono recepite nell’ordinamento italiano e nell’opinione pubblica ‒ già ben predisposta da una lunga ed “efficace” propaganda razzista, venendo a costituire una solida base giuridica di riferimento per ogni successivo atto amministrativo. Diversamente da quanto ampiamente diffuso nell’immaginario mondiale, esse furono applicate con rigore e puntualità, nell’indifferenza dei molti. Indifferenza ancor più sorprendente o forse colpevolmente grave quella della comunità dei giuristi.
Ottant’anni: un anniversario da tenere a mente con molta lucidità, così come teniamo a mente attraverso altri momenti del calendario ebraico i tentativi di annientamento del nostro popolo e della nostra cultura avvenuti nei secoli e nei millenni.
Questa memoria non deve affievolirsi, nonostante le grida e le pretese di chi oggi pensa di poter imporne l’oblio.
Ci è doverosa una riflessione perché la Storia (con S maiuscola) che stiamo ricordando è un insieme di fatti – di verità – che è per certi versi un remoto e sbiadito sapere teorico, che pochi ancora riescono a tramandare per il loro vissuto personale, e per altri versi un vicino succedersi di atti di quotidiana violenza. Quasi un presente.
Ottant’anni dopo l’Italia deve ancora fare un profondo esame del proprio passato e delle derive del regime fascista. Le responsabilità delle istituzioni che durante il fascismo, anziché agire controbilanciandosi, operarono sincronicamente favorendo un processo persecutorio che avrebbe raggiunto il drammatico culmine nella Shoah.
Tale processo chiama a precise responsabilità sul piano etico e legale e un esame da parte della comunità dei giuristi qui oggi massimamente rappresentati.
Un’Italia che non comprende la funzione sociale di una legge, che interpone una dialettica politica ai rapporti definiti costituzionalmente tra i vari poteri dello stato, che non ha celebrato processi contro i propri regnanti e rappresentanti nelle sedi parlamentari e governative, macchiatisi di gravi crimini contro l’umanità, che non ha reinserito gli espulsi nei loro ruoli e nelle loro funzioni, che subordina un piano di indennizzi alle testimonianze di chi non è più in vita e prove documentali impossibili da recuperare, che ha focalizzato un cammino di ricostruzione economica anche attraverso un’integrazione europea prettamente finanziaria, tralasciando quella sociale, che resta inerte dinanzi alle numerose archiviazioni, rischia di non poter arginare i nuovi movimenti di odio che a quei falsi valori e simboli oggi si ispirano.
Proprio in questa direzione, nell’anno in corso, ha preso vita una stretta e convinta collaborazione tra il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense e l’Unione delle comunità ebraiche italiane. L’obiettivo è di richiamare le istituzioni di oggi a una doverosa analisi di quanto avvenuto nel loro-nostro passato e a una riflessione concreta e matura di quanto possono-possiamo fare per creare uno spazio di vita italiano ed europeo caratterizzato da una più rigorosa corrispondenza tra realtà sociale e norma di legge, e rafforzare quanto avviato, all’indomani della guerra, con il varo della Costituzione repubblicana e la costruzione europea.
Questa pubblicazione rappresenta senza dubbio un importante e autorevole approfondimento su cui proseguire le faticose ricerche che non mirano solo alla narrazione storica dell’agire professionale-etico o meno di allora ricopriva funzioni e ruoli ma anche comprendere quali furono i vincoli o percorsi decisionali da cui oggi trarre riferimento e poter rafforzare il sistema o colmare lacune.
Il passaggio dalla “difesa della razza” ad una tutela dei diritti, primi fra tutti la vita e la dignità umana, è ancora molto faticoso e le sfide educative, culturali e legislative sono ardue ma non tralasciabili. Magistrati e avvocati hanno in questo momento una responsabilità sociale importante e le generazioni future meritano di ricevere risposte e non nuove domande.
Mi chiedo, come molti, cosa sanno i giovani di quanto accaduto nelle vie delle nostre città che attraversano ogni giorno e nei paesi europei che visitano raggiungendo (con low cost) luoghi ameni in un’ora, due o poco più con voli. Mi chiedo soprattutto se i giovani di oggi avrebbero la forza, rabbia, capacità di dire no ad un regime che si impone con distorsione legislativa alterando equità e disconoscendo tutele. Cosa sono chiamati a difendere oggi? Quanto si rendono conto dell’immenso tesoro che gli è stato donato – i principi affermati nella carta costituzionale e i presidi che difendono legalità e democrazia? Hanno – o meglio abbiamo – oggi molto più di quanto esisteva allora:
Un’Italia con le sue diverse istituzioni parlamentari, governative, giudiziarie, ordini professionali e forze di sicurezza, ciascuna con il suo preciso ruolo;
Un’europea unità ricostruita per un sogno di solidarietà tra i popoli;
La libertà di studiare e lavorare, di sognare il proprio futuro.
Forse, al contrario, saranno loro a rendersi conto che viviamo in un torpore e depauperamento di valori, che il più grave dei mali non è l’immigrazione ma la paura e l’ignoranza, non è l’apparato istituzionale italiano o europeo ma la delega di poteri istituzionali ad altri paralleli poteri istituzionalizzati, non è l’analisi e lo studio ma l’accettazione superficiale e la propagazione incontrollata di ogni falsa indicazione.
Il tormento di oggi non è fatto solo del dolore e delle paure vissute ieri, ma anche del timore di non essere in grado di leggere i fatti e le avvisaglie, del non comprendere la fase storica che si sta vivendo, di non poter appoggiare la mano sul cuore e con senso di orgoglio riconoscersi italiani. Il timore che si insinua in ciascuno di noi oggi è il rischio di attraversare – collettivamente – una linea rossa invisibile, senza riuscire ad attivare quelle garanzie che, nel tempo, abbiamo tempo costruite, applicate, affinate e studiate.
Abbiamo paura di trovare noi stessi nella condizione e con le responsabilità che addebitiamo ad altri in varie e note sedi processuali, chiedendoci i perché: dover concludere che è più giusto disobbedire a un decreto, a una legge, a un ordine, perché, seppur formalmente vincolanti, sono vuoti di quei valori essenziali; oppure di doverli interpretare o applicare in un modo che rispetti quel profondo richiamo morale. Quando è il momento per dire” No”, “Basta”, affinché non sia troppo tardi? Quando il no diventa il no di un collettivo ragionante e non di pochi singoli coerente e coraggiosi?
Ringrazio quindi il CSM e il CNF, i ricercatori e gli autori per questa pubblicazione a nome di tutte le comunità ebraiche italiane e in rappresentanza ideale anche di tutti gli ebrei iscritti ad albi professionali, funzionari degli uffici giudiziari, magistrati, studenti e professori delle facoltà di legge che hanno vissuto allora l’esatto contrario del sogno di giustizia in cui tanto credevano e nel nome della quale operavano dando il loro contributo alla Patria.
Il nome di tutti loro sarà indelebilmente ricordato, assieme a coloro, tra magistrati e avvocati, che non hanno mai smesso di operare in nome della vera legalità e della giustizia.
Abbiamo appena festeggiato il capo d’anno ebraico. Rosh Hashanà. Momento nel quale si compie un bilancio di quanto abbiamo fatto come individui e come collettività. Un giorno del giudizio che apre l’anno nuovo richiamandoci ad un esame di coscienza dei nostri rapporti con il creatore e con il prossimo. Senza questo passaggio che riguarda i rapporti tra persone nessun’altra preghiera è ascoltata. I dieci giorni che ci portano al giorno del Kippur sono interamente dedicati a questa introspezione. La speranza, la preghiera e l’augurio, che a nome di tutte le comunità ebraiche in Italia vorrei formulare ed estendere a tutti, è che questo bilancio sia fatto ora, oggi, adesso. Che non vi siano contumaci. Che sia un giudizio che con lungimiranza e coerenza storica valuti cosa abbiamo e cosa rischiamo di perdere come persone, come paese; quale consapevolezza abbiamo di quegli anni, quanto si sono comprese le responsabilità del fascismo rispetto a quelle dell’occupante nazista, quale la devastante forza dell’indifferenza e divisione popolare, quali al contrario gli atteggiamenti popolari ed eroismi sono stati riconosciuti e la forza vincitrice dell’unità, quale il ruolo di un magistrato, di chi è al governo del paese, di chi è preposto a legiferare, di chi lo rappresenta. Qual è il ruolo di ciascuno di noi che forma il popolo italiano, che non è concetto astratto, ma persone che vivono assieme in un ben definito contesto italiano ed europeo? L’auspicio è che si possano nelle scuole e università e sedi di tirocinio italiane formare i nostri giovani, dando loro conoscenze professionalizzanti ma anche forgiare le loro coscienze, affinando le loro capacità di ragionamento e appassionandoli all’osservazione di quanto è meraviglioso il mondo con i suoi diversi popoli e luoghi, ammirare l’uomo capace di inventare utilità al prossimo, prendere parte ai processi decisionali dopo aver studiato ed approfondito.
Che studenti di legge, giovani parlamentari, giovani praticanti e magistrati siano appassionati e ricevano l’esempio in persona di chi si adopera per dare pieno senso alla parola legalità, sapendola correlare e preservare – non inclinare – al contesto sociale. Sono in fondo preghiere antiche – quelle di essere in grado di condurre i nostri figli ed essergli di esempio – che anche oggi tramandiamo e dedichiamo a loro.
Shanà tovà.
(14 settembre 2018)