Oltremare – Panchine
Le città e i paesi sono tutti pieni di panchine, almeno nel mondo che conosco. Le più comuni sono quelle su cui possono sedersi tre persone, e chissà chi ha iniziato la tradizione della panchina tripla. Certo ha una sua comodità: ci si può fare il pic-nic in due senza sporcarsi i pantaloni, mettendo il cibo nel centro e incoraggiando così la condivisione. Ci si può sedere una famiglia intera: genitori e un figlio, fino a genitori e tre figli di cui due sulle gambe. Si usano per fare conversazione o come punti di incontro, appartengono a tutte le generazioni e a tutte le categorie più o meno definite di umani. A Tel Aviv, appartengono soprattutto ai gatti, ma questo riguarda la città intera. Ma a Tel Aviv sono anche panchine strane, di due tipi. Le prime sono quelle nate triple, e modificate per diventare anti-barboni. Ebbene sì, nella città dove tutto è permesso, la città in cui l’unico confine è il mare, in cui tutti fanno marce e manifestazioni e parate su qualunque cosa, per poi riempire festosamente prati e spiagge, ci sono zone della città nelle quali alla solita panchina tripla è stato aggiunto un aggeggio che per forma ricorda un bracciolo, di metallo spesso, esattamente al centro, presumibilmente per impedire che qualcuno ci si addormenti in tutta la sua orizzontalità. Poi ci sono le panchine singole, messe a coppie, che sedendocisi non si può fare altro che guardarsi, l’uno negli occhi dell’altro. Perfette per chiacchierate notturne e anche diurne, quando sotto alberi che fanno ombra. Le panchine parlanti, le chiamo io. E in un’epoca di poco e pessimo dialogo politico e diplomatico, c’è un’intera lista di strane coppie che metterei a sedere uno di fronte all’altro, con tutta la città o il paese intero intorno a controllare – vietato alzarsi finché non arrivate a un accordo.
Daniela Fubini, Tel Aviv